I Capodogli di Copenaghen

SOCIALISMO O BARBARIE 2

E così, dopo neanche un anno di gloria effimera, i capodogli della cosiddetta green economy si sono spiaggiati esanimi di fronte alla sirenetta di Copenaghen. Il fallimento del vertice sul clima, del resto, era stato ampiamente previsto dagli analisti più attenti che ne avevano pronosticato l’esito già in occasione della visita di Obama in Cina. Era chiaro da diverse settimane, infatti, che nè Pechino nè Nuova Dehli avrebbero accettato di ridurre le loro emissioni di gas serra (ovvero di rallentare le loro economie) visto ciò che ne sarebbe conseguito anche da un punto di vista sociale. E del resto gli Stati Uniti, che con i loro 300 milioni di abitanti consumano circa 20 milioni di barili di petrolio al giorno, vantano sicuramente poco credibilità su questo terreno visto che un paese come la Cina (tanto per riproporre un esempio citato da Chavez) che di abitanti ne conta quasi 5 volte di più degli USA di barili ne consuma “solo” 6 milioni al giorno. Se a questo aggiungiamo poi che gran parte del debito pubblico statunitense è ormai in mano cinese, appare evidente come la crisi non solo abbia ridefinito i rapporti di forza internazionali spostando il baricentro dell’economia globale dall’Atlantico al Pacifico, ma abbia anche spento ogni velleità di capitalismo sostenibile. Ciò che è certo, difatti, è che il Cop15 ha definitivamente spazzato il campo da alcune ambiguità che pure avevano ammaliato certa sinistra occidentale, socialdemocratica ed “ecologista”. Perchè così come non è possibile distinguere un capitalismo produttivo da uno speculativo è altresì improponibile pensare di contrapporre un capitalismo verde ad un capitalismo inquinante. Non esistono padroni buoni e padroni cattivi, ma solo padroni e salariati, sfruttati e sfruttatori, inquinati e inquinatori. La morte sulle spiagge pugliesi dei capodogli, quelli veri, è in questo altamente metaforica. Sono morti per aver scambiato delle buste di plastica per dei calamari, soffocati dal simbolo per eccellenza del consumismo e del tentativo di dar risposta alla sovrapproduzione attraverso l’induzione al sovraconsumo. Perchè il capitalismo non è solo un modo di produzione socialmente ingiusto e primitivo, ma anche un sistema socioeconomico insostenibile ed irrazionale, fondato sullo spreco di risorse ed energia, sul consumo dissennato del pianeta. Quando Rosa Luxemburg sentenziò che l’umanità si approssimava al bivio in cui avrebbe dovuto scegliere tra socialismo o barbarie, la contraddizione Capitale/Ambiente non era ancora deflagrata in tutta la sua gravità ed ancora oggi settori anche importanti del movimento di classe faticano a coglierne la centralità. Eppure crediamo che, come sostiene da tempo Samir Amin, il socialismo del XXI secolo o sarà “solare”, sostenibile, o semplicemente non sarà. O sapremo proporre un’alternativa di sistema in grado di tener conto della finitudine del pianeta che viviamo, pianificando produzione e consumi, e magari su questo costruire alleanze sociali, oppure saremo destinati a sopravvivere nella barbarie. E ci vengono in mente alcune semplici concetti ribaditi da un signore di Treviri con la barba bianca: LAVORARE MENO, PRODURRE IL NECESSARIO, DISTRIBUIRE TUTTO.