Daje Degage!

Lo scorso sabato 6 aprile, insieme ai movimenti di lotta per la casa, un gruppo di studenti del progetto Degage ha occupato uno stabile in Via Musa 10. Tra loro ci sono anche molti compagni a noi vicini, ma non è solo per questo che esprimiamo solidarietà a questa occupazione che si trova a rischio sgombero e sotto attacco mediatico, in particolare da parte di quei giornali che difendono – quando non sono di proprietà – i palazzinari, e che con retoriche squallide alternativamente li chiamano “bamboccioni” o li accusano di terrorismo e di voler “ritornare agli anni ’70”.

 

Riteniamo quest’esperienza un laboratorio molto interessante non soltanto per le questioni che ha sollevato, che spiegheremo meglio nel seguito del post, ma anche per il tentativo di ricomposizione di classe che sta realizzando. Quest’occupazione infatti ha da subito catalizzato le attenzioni di quegli studenti che, essendo esclusi dal carente sistema del welfare universitario sono costretti ad arrangiarsi tra una miriade di lavoretti e che, non essendo militanti delle strutture politiche universitarie, non sono stati toccati dalle mobilitazioni (o dai tentativi di realizzarle) degli ultimi due anni.

I compagni hanno occupato questo stabile a seguito di un’approfondita inchiesta sull’emergenza abitativa tra gli studenti nella nostra città, in particolare tra quelli dell’università La Sapienza. La situazione ad oggi infatti vede, a fronte di un costo degli affitti che va oltre i 500 euro a stanza mensili, la diminuzione progressiva degli stabili destinati a studentati e un’erogazione di borse assolutamente insufficiente rispetto alle richieste.

Lazio Adisu, ente regionale per il diritto allo studio universitario, a causa della gestione aziendalistica cui è sottoposto (della regione), negli ultimi anni ha chiuso i due studentati Macao e Civis perché mancavano i fondi per la manutenzione degli stabili, e ne ha realizzato uno a Ponte di Nona, rimasto vuoto perché troppo lontano dall’università e mal collegato.

La gestione di quest’ente è emblematica di come vengano male utilizzati i soldi pubblici, in una fase in cui la cosa pubblica viene smantellata affidando la gestione dei servizi a privati, che hanno l’unico scopo dichiarato di trarre profitto.

Non stupisce quindi che la questione degli alloggi per gli studenti sia affidata al mercato privato degli affitti. È bello però vedere che degli studenti con una capacità di analisi del sociale e capacità di mobilitazione, decidono di non sottostare a questo giogo del capitale e trovano forme di riappropriazione diretta ed indiretta per riscattarsi.

La sbandierata meritocrazia, introdotta per scalzare questi fantomatici studenti fannulloni perdigiorno ha portato all’erogazione delle borse di studio in base ai voti conseguiti, escludendo automaticamente gli studenti che devono lavorare per mantenersi gli studi, trasformando le università in esamifici e istituendo una selezione di classe su chi vuole accedere alla formazione universitaria.

Le scuole di eccellenza che rimangono vuote, l’aumento delle tasse universitarie, l’introduzione progressiva del numero chiuso ai corsi di laurea costituiscono un attacco diretto ai diritti e alle prospettive dei lavoratori, e si inseriscono pienamente nell’ottica della ristrutturazione del capitale che stiamo vivendo.

In questo contesto, dove la tutela e il sostegno sociale degli studenti sono pressoché assenti, è una necessità trovare dei lavori per potersi pagare l’affitto e le spese di vita. Lavori che sono quasi sempre in nero con accordi a brevissimo termine e quindi con un alto livello di ricattabilità e sfruttamento.

La risposta che hanno dato gli studenti a questa gestione dell’università della crisi è quella della riappropriazione di parte del salario, diretto e indiretto, che viene sottratto attraverso l’esplosione del costo degli affitti, l’aumento delle tasse universitarie e l’aumento del costo dei trasporti, ad esempio.

Come ci raccontano i compagni, oltre alla questione dei diritti agli studenti, con questa occupazione hanno aperto anche un altro fronte di discussione: la questione edilizia della città che da decenni oramai rappresenta uno dei settori in cui più si specula e si giocano le partite tra poteri forti e istituzioni locali.

«Lo stabile in via Antonio Musa 10, fa parte degli 11 stabili inseriti nel fondo Upside della Bnp Paribas, che una volta venduti potranno essere usati per costruire il palazzone unico della Provincia che sorgerà nella zona di Torrino-Castellaccio. L’ultima creazione della giunta Zingaretti, con il bene placito dell’opposizione, è stata quella di creare un fondo speciale nel quale accumulare i soldi pervenuti dalla vendita di questi 11 immobili, già di proprietà della Provincia stessa, al pro di concentrare gli uffici amministrativi in un unico stabile. per migliorarne l’efficienza dei servizi e per risparmiare su tutti quegli stabili che sono attualmente in affitto. Il fondo Upside è necessario perché le banche, che hanno vinto l’opportunità di finanziare la costruzione del nuovo stabile provinciale, hanno già anticipato 260 milioni di euro che verranno recuperati dalla vendita degli immobili tra cui quello di via Antonio Musa n°10. Stiamo parlando di banche “fortunate” come la Bnp e la Finemiro e di aziende come la “fortunatissima” Parsitalia, di proprietà dei Parnasi, che hanno vinto l’appalto della costruzione! Quegli stessi costruttori che hanno avuto sempre la solita fortuna di gestire altri appalti nella zona Eur, Tor Marancia, Castellaccio e che concorrono alla costruzione dell’ambitissimo stadio della Roma a Tor di Valle. Ma perché costruire un palazzo della provincia quando la provincia non esiste più? E perché concentrare in un unico palazzo gli uffici di un ente, che in quanto provinciale, dovrebbe essere distribuito sul territorio? Le direttive della Spending Review sono state colte come nuova opportunità per distribuire ai poteri forti della città altri soldi in cambio di voti.»

Facciamo i nostri migliori auguri ai compagni che stanno portando avanti questo bel progetto con passione e determinazione, convinti che il loro non sia un fuoco destinato a spegnersi presto.