Cuba va, lo sport pure!

Cuba va, lo sport pure!

Con cinque ori, tre argenti e sei bronzi Cuba si riconferma la squadra olimpica più forte dell’America Latina. Non solo: escludendo gli Stati Uniti, Cuba è la nazione più forte nello sport di tutto il continente americano. Potrà apparire superficiale, ma lo sport è un importante cartina tornasole della salute economica e politica di uno Stato (oltre ad essere, di per se, una straordinaria espressione dell’uomo, in cui non a caso eccellevano tutti i paesi socialisti). Gli atleti a livello olimpico non si inventano né si improvvisano: servono strutture, preparatori atletici e allenatori, una federazione efficiente e molti soldi. Esclusi i soldi, Cuba possiede tutto il resto. Chiunque abbia avuto la fortuna di viaggiare per la isla grande non potrà che essere rimasto impressionato dal livello sportivo dell’isola. Un livello che, contestualizzato nel continente latinoamericano, è semplicemente inimmaginabile, anche rispetto ai vicini più ricchi come il Messico o il Brasile. Una tradizione sportiva che giustamente emerge solo alle olimpiadi, l’unica competizione internazionale che da il vero valore sportivo di uno stato.

Quanto all’Italia, molti “compagni” (quelli dalla morale facile, in degna coppia coi grillini), sparano a zero verso una nazionale zeppa di guardie di tutti i tipi, non sapendo evidentemente di cosa parlano. Investendo poco e male nelle strutture sportive e nella valorizzazione degli atleti, l’unica possibilità per uno sportivo italiano di allenarsi stipendiato e tentare di raggiungere i livelli olimpici è quella di fare parte di un corpo di polizia o dell’esercito. L’unica possibilità di allenarsi senza pensare anche a come guadagnarsi da vivere. E siccome gli sport – e gli atleti – olimpici non sono certo coperti dagli sponsor (a meno che non ti chiami Bolt o Phelps), l’unica maniera che hanno per raggiungere le olimpiadi è quello di diventare guardie. Peraltro, è anche uno dei motivi per cui molti compagni che praticano sport ad alti livelli si fermano non volendo compiere tale passaggio. Ma se questo può essere chiesto a dei compagni, risulta fuori dalla realtà pretenderlo da gente che pensa solo ad allenarsi e a raggiungere il proprio obiettivo olimpico. La questione, semmai, è smontare il ricatto sportivo che impedisce agli atleti italiani di allenarsi liberamente e professionalmente senza far parte di esercito o polizie. Un esempio lampante è quello della boxe, mondo che conosciamo bene dal di dentro. Fare il pugile non paga, si fatica molto e non ci si guadagna niente. Farlo a livello dilettantistico, poi, è ancora più frustrante, e infatti tutti i pugili dilettanti alternano il binomio massacrante di allenamento (duro) e lavoro (ancor più duro). Nessuno sponsor, nessun mach che ti consenta ricavi adeguati. Se vuoi raggiungere il sogno olimpico, l’unico modo è entrare in un corpo della polizia e chiedere di potersi allenare senza prestare servizio. Quella di uno sport libero e popolare, adeguatamente finanziato e supportato, è una battaglia culturale prima ancora che politica, che però dovrebbe far breccia prima di tutto nella sinistra, troppo impegnata ancora a snobbare l’allenamento sportivo lasciandolo in mano alle destre che infatti ne raccolgono i risultati ad ogni olimpiade.