Cronache dalla Revolución Ciudadana

Cronache dalla Revolución Ciudadana

Come già accaduto l’anno passato, alcuni dei nostri compagni stanno partecipando alla Escuela de Verano ossia ad un progetto formativo che il Ministero degli Esteri dell’Ecuador ha messo in piedi per offire l’opportunità ai partecipanti di conoscere ed indagare il nuovo modello di sviluppo sostenibile proposto dal Buen Vivir ecuadoriano. Il corso, che si sta svolgendo nella capitale Quito, prevede una permanenza di 31 giorni, con corsi e lezioni dal lunedì al venerdì… insomma, non una vacanza ma un’esperienza molto importante che, iniziata il 23 luglio, ci porta oggi a fare un primo bilancio dopo che la maggior parte delle lezioni e delle iniziative “accademiche” sono terminate. Nei prossimi giorni, infatti, gli oltre 60 partecipanti alla Escuela de Verano saranno nella Reserva Ecológica de Yarina, nel Parque Nacional de Yasuní, in piena foresta amazzonica. Proprio qui i compagni della Escuela avranno la possibilità diretta di incontrare la comunità Yacu, una delle due che ha chiesto isolamento volontario al governo di Quito e soprattutto una delle comunità che fattivamente sta marcando il passo nella lunga strada verso la piena assimilazione di un processo interculturale in Ecuador. Infine una piccola nota sulla composizione del corso. Ci arrivano notizie di oltre 22 paesi presenti, una miscellanea di esperienze e culture che al di là del dato squisitamente politico che si può trarre da questa esperienza, rappresenta senz’ombra di dubbio il patrimonio più grande di cui tutti i compagni si stanno dotando.

L’Ecuador va. Non è uno slogan di campagna elettorale, nonostante qui – a 6 mesi dal voto presidenziale – si stia già respirando aria di propaganda, pro e contro Correa. L’Ecuador va perché in questi primi 5 anni di Revolución Ciudadana le politiche sociali, economiche e di integrazione del Paese hanno cambiato rotta in maniera radicale. Sgombriamo però subito il campo da ogni dubbio: il Buen Vivir ecuadoriano non ha una marcata impronta socialista (classicamente intesa), così come l’uso del termine Revolución forse non risulta sempre appropriato. Correa ed il suo entourage, ad ogni momento di discussione pubblica cui abbiamo partecipato, ha tenuto a ribadire una cosa: l’Ecuador si porta in dote il bagaglio storico e politico dell’esperienza socialista del ‘900, senza per questo cercare di ripetere esperienze che hanno già segnato il corso della storia. Quando ci presentarono il corso, il giorno dell’inaugurazione (22 luglio), il Ministro degli Esteri Canciller Ricardo Patiño specificò subito tre elementi chiave: l’Ecuador non è un paese socialista, ma fa parte di una rete di relazioni politiche e sociali che trovano asilo nel Socialismo del XXI secolo; l’Ecuador obiettivamente (anche perché è passato ancora poco tempo dalla prima vittoria di Correa) non ha rotto vincolo alcuno con il Capitalismo, anche se si può affermare che in Ecuador non vige un’economia del mercato ma un’economia con mercato. Infine, la battaglia politica e sociale che si è aperta in Ecuador è una battaglia che deve tenere dentro elementi che presuppongono prima di tutto una “rivoluzione culturale” tra le sue genti: interculturalità, passaggio ad un’economia popolare e solidale, diritto della Natura (equiparato costituzionalmente ai diritti dell’uomo, primo caso nella storia costituzionale dell’umanità), ricorso a nuove forme di energie rinnovabili.

Dalle prime battute della Escuela, ma anche dalle prime chiacchierate con quiteños che di volta in volta abbiamo iniziato a conoscere, ci è parso chiaro come il nuovo slancio della Revolución Ciudadana avesse standardizzato una situazione politica di forte precarietà che aveva contraddistinto gli ultimi 15 anni di storia ecuadoriana fino all’avvento di Correa nel 2006. Una storia altalenante che raramente (se non in un solo caso) ha visto una legislatura terminare il proprio mandato, perché sfiduciata dal popolo e soprattutto perché raramente impegnata a sviluppare un piano di governo, quanto piuttosto totalmente ingessata in un clima di perenne campagna elettorale dove l’unico obiettivo era ottenere il consenso delle masse attraverso narrazioni di politiche che definirle populiste sarebbe davvero poco. A questo deve aggiungersi quello che, internazionalmente ma in particolar modo qui nel Cono Sur, è riconosciuto come il risultato migliore ottenuto da Correa: il forte slancio partecipativo della cittadinanza nella politica e il rodaggio di alcune specifiche istituzioni deputate ad implementare la partecipazione della gente attraverso apposite articolazioni della macchina governativa. Rispetto alla vecchia Carta costituzionale, infatti, il nuovo impianto promosso dai vertici di Alianza País prevede un’articolata ramificazione di consigli parrocchiali, di quartiere, cittadini, provinciali e regionali… una struttura che consente la partecipazione a vari livelli e che valorizza l’impegno dei singoli con rispetto a quanto accade nel proprio territorio di riferimento.

Quello che sta succedendo in questi giorni con il caso Assange, ad esempio, è esemplificativo di quanto stiamo raccontando. La decisione presa poche ore fa dal Governo di Quito, è stata frutto di una forte pressione cittadina che ha dichiarato senza dubbio la volontà dell’Ecuador di non essere succube del ricatto inglese. La cittadinanza, da Quito a Guayaquil, si è mobilitata per costruire un movimiento di opinione in grado di sostenere l’ipotesi di concessione dell’asilo. E così è stato; manifestazioni, mozioni nei consigli cittadini e provinciali giunte sulla scrivania dei vertici governativi. Anche per questo, oltre che per una volontà politica dell’esecutivo, si è creato in Ecuador un clima favorevole all’asilo per l’hacker australiano, in barba alle pressioni internazionali e ai ricatti che Gb e USA stanno architettando contro Correa, Patiño e tutta la diplomazia ecuadoriana.

… continua…