Cosa bolle in pentola? Privatizzazioni a firma UE!
Mentre qualcuno ancora si sta spellando le mani per il botto del PD alle elezioni, qualcun altro di contro grida alla rinnovata verve dei cinquesberle dopo i risultati delle comunali di Livorno. Pochi, invece, stanno guardando da un’altra prospettiva la direzione in cui – spavalda – la barca di Renzi e del PD viaggia verso i lidi sicuri dell’Unione Europea. Se dovessimo anzi capire cosa sta bollendo in pentola qui da noi, al di là degli strepitii di facciata, difficilmente riusciremmo ad estrometterci dalle faide post elettorali che ancora affollano le colonne dei quotidiani. Ed è così che nella disattenzione generale (fatta salva qualche rara e meritoria eccezione) il Senato ha in questi giorni approvato il cosiddetto decreto legge “Irpef” (dategli un’occhiata qui) per poter approvare “misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale”. Ci siamo presi la briga di controllare a cosa dovessimo il riordino della giustizia sociale e, nonostante ammettiamo di non aver nutrito tanta fiducia fin da subito, abbiamo capito che la ricetta del governissimo si sta via via migliorando: i comma 1 e 1.bis dell’articolo 23, numero questa volta tutt’altro che evocatore di formose fortune, sono dedicati alle aziende municipalizzate (“Riordino e riduzione della spesa di aziende, istituzioni e società controllate dalle amministrazioni locali”) e a ben guardare rappresentano la rampa di lancio con cui il governo Renzi sta per rimettere in moto il grande progetto di privatizzazione; nel testo, infatti, il Commissario straordinario infatti dispone
“anche ai fini di una loro valorizzazione industriale, un programma di razionalizzazione delle aziende speciali, delle istituzioni e delle società direttamente o indirettamente controllate dalle amministrazioni locali incluse nell’elenco di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, individuando in particolare specifiche misure:
a) per la liquidazione o trasformazione per fusione o incorporazione degli organismi sopra indicati, in funzione delle dimensioni e degli ambiti ottimali per lo svolgimento delle rispettive attività;
b) per l’efficientamento della loro gestione, anche attraverso la comparazione con altri operatori che operano a livello nazionale e internazionale;
c) per la cessione di rami d’azienda o anche di personale ad altre società anche a capitale privato con il trasferimento di funzioni e attività di servizi. “
A rendere perfetta la quadratura del cerchio, poi, ci pensa il comma 1.bis che chiarisce come quanto descritto sopra sia un impianto di massima che verrà reso operativo dopo “una sua traduzione nel patto di stabilità e crescita interno, nel disegno di legge di stabilità per il 2015”, ovvero quello che il Matteo nazionale ha chiamato “rimodulazione delle partecipate”.
La ricetta di casa nostra, insomma, è ancora una volta la copia di quanto l’UE sta chiedendo ad ogni suo fedele vassallo: smantellamento del servizio pubblico, ingresso di capitali privati nella gestione della cosa pubblica e soprattutto allineamento a standard di austerità imposti col ricatto del pareggio di bilancio. Non solo i lavoratori e le lavoratrici delle municipalizzate sono chiamati ad opporsi a questo scempio, ma anche tutti noi dobbiamo contribuire in una duplice maniera. Da un lato attraverso il sostegno attivo, di lotta, alle vertenze in via di esplosione; dall’altro, però, attraverso la definizione (senza mezzi termini) del nemico di classe che bisogna affrontare unitariamente oggi, ovvero l’UE. Su questo piano, noi come altri, stiamo da tempo investendo energie e contenuti, provando a caratterizzare i momenti di piazza che mese dopo mese lavorano ad una crescita di un consenso ancora singhiozzante. Ignorare la responsabilità diretta dell’UE a questa accelerazione della crisi e provare a catalogare tutto nell’inconsistente diatriba Europa si/Europa no non aiuterà a risolvere il problema, ma ci restituirà di qui a breve un altro dato di immaturità da cui – faticosamente – ripartire.