Consigli (o sconsigli) per gli acquisti: La gabbia dell’Euro, di Domenico Moro

Consigli (o sconsigli) per gli acquisti: La gabbia dell’Euro, di Domenico Moro

 

E’ in libreria, ormai da qualche giorno, l’ultima fatica di Domenico Moro, “La gabbia dell’euro, perché uscirne èinternazionalista e di sinistra”, un pamphlet di cui consigliamo caldamente la lettura. Il volume arriva infatti sugli scaffali con straordinario tempismo, a ridosso dell’esito elettorale che ha certificato la scomparsa dai radar della rappresentanza della cosiddetta sinistra radicale, la sconfitta dei partiti euroliberisti e la vittoria di quei populismi percepiti, a torto o a ragione, come euroscettici. Nonché la crescita, seppur lieve, dell’area dell’astensione. Il lettore più attento ci troverà sicuramente alcune risposte alle domande che in questi giorni attraversano il corpo largo della “compagneria” e più in generale potrà rintracciarvi alcune delle cause del disastro in cui siamo collettivamente coinvolti. A cominciare da quello che rappresenta il fulcro del lavoro di Moro e che par tanta (troppa) sinistra rappresenta ancora un vero e proprio tabù politico: la rottura dell’Unione Europea e l’uscita dall’Unione Economica Monetaria.

Con uno stile divulgativo che apprezziamo particolarmente, e senza per questo far sconti al rigore scientifico, Moro affronta la questione soprattutto dal punto di vista politico, provando ad analizzare le ragioni della riluttanza che ha certa sinistra nel prendere anche solo in considerazione l’idea di mettere in discussione l’idea di integrazione europea così per come si è andata concretizzando nel corso dei decenni. Tra le ragioni politico-ideologiche rintracciate dall’Autore quella ritenuta preminente è sicuramente la convinzione che un’eventuale uscita dall’euro non potrebbe che avere un carattere regressivo, e questo perché rappresenterebbe un ritorno allo stato-nazione, e dunque al nazionalismo, e dunque, per successivi e inevitabili slittamenti teorici, al fascismo. Un “ragionamento” che Moro decostruisce passo dopo passo dimostrando come, oggi, l’ideologia delle classi dominanti, proprio per come si è andato evolvendo il modo di produzione capitalistico, non sia affatto il nazionalismo quanto piuttosto quel cosmopolitismo delle élite globali confuso, a torto, con l’internazionalismo. Il nazionalismo e il razzismo andrebbero interpretati dunque non come causa, ma come effetto del prevalere, in assenza di un punto di viata autonomo dei subalterni e di una soggettività organizzata, di quello che Lukàcs chiamava “il pensiero della vita quotidiana”. Ovvero di quella coscenza deformata del mondo basata esclusivamente su esperienze immediate, particolari e frammentate piuttosto che su di una visione organica e generale di classe. E del resto nell’era del capitalismo globale abbiamo ormai imparato che le guerre imperialiste non vengono più portate avanti nel nome dello sciovinismo nazionale, quanto piuttosto nel nome della “democrazia”, della sua diffusione e dei “diritti umani”. L’autore passa così in rassegna l’evoluzione del concetto di nazione rammentando anche ai più distratti come il rapporto che con esso hanno avuto i comunisti non sia mai stato univoco, ma contraddittorio, e sempre condizionato dal contesto storico in cui veniva maneggiato. I nazionalismi, insomma, non sono mai stati considerati tutti uguali dai rivoluzionari, ma giudicati in base a come si collocavano nella cornice dei rapporti imperialistici. Banalmente , una cosa è il nazionalismo palestinese, o cubano, o venezuelano, altra cosa è il nazionalismo di un paese dominante. Ci permettiamo di riprendere alcuni passaggi del secondo capitolo che riteniamo particolarmente efficaci al riguardo: “la questione dell’uscita dall’euro non è una questione inerente alla difesa della nazionalità, bensì inerente alla democratizzazione dello Stato e, più precisamente, alla modificazione del rapporto tra Stato e classi subalterne al capitale. In qualche modo gli oppositori di sinistra all’uscita dall’euro vengono rafforzati nelle loro convinzioni dai cosiddetti sovranisti nazionali. (…) Per la verità, una certa confusione tra i due aspetti si ingenera in maniera abbastanza naturale. Infatti, visto che il problema è rappresentato dall’esistenza di organismi sovrastatali europei, il loro superamento implica necessariamente il ritorno allo Stato. E, dal momento che lo stato territoriale classico è quello a base nazionale, ciò che risulta, almeno in apparenza, è che “si ritorni alla nazione”. Ciononostante, il nodo dell’uscita dall’euro continua a non risiedere nella nazione, ed è bene che lo si ribadisca. (…) Più importante è chiederci verso che la Ue e la Uem svolgano una funzione di oppressione e di sfruttamento. Se cioè svolgano una tale funzione nei confronti di una nazionalità in quanto tale, oppure se esercitino un’oppressione  eminentemente di carattere economico e politico rivolta ad alcune classi sociali, per quanto queste rappresentino la maggioranza della popolazione di uno Stato nazionale. E più avanti: nell’epoca del capitalismo globale lo Stato nazionale non si eclissa, si trasforma. La conseguenza principale dell’Unione economica monetaria non è stata l’eliminazione della sovranità nazionale dello Stato, ma la modificazione dei rapporti di forza tra le classi all’interno dello Stato. Di conseguenza, l’obiettivo politico principale della classe lavoratrice nel contesto europeo non è tanto la rivendicazione della sovranità nazionale, quanto il recupero e l’allargamento dei livelle precedenti di sovranità democratica e popolare. Il recupero della sovranità democratica e popolare non va confuso con il ristabilimento di un governo popolare, in realtà mai realizzatosi e impossibile in un contesto di produzione e sociali capitalistici. Il recupero della sovranità democratica e popolare è, prima di tutto, il ristabilimento di un contesto di lotta in cui i subalterni non sino sconfitti in partenza. (…) Ovviamente, queste misure non risolvono di per sé tutte le contraddizioni del capitalismo né i problemi dei lavoratori. Tantomeno sono propedeutiche alla trasformazione dei rapporti di produzione capitalistici in rapporti di produzione socialisti. (…) L’uscita dall’euro, dunque, è una condizione certamente non sufficiente, ma necessaria, sul piano politico e non solo sul piano economico”. 

La gabbia dell’euro/Domenico Moro/Imprimatur/11 euro