conosciamo i responsabili

conosciamo i responsabili

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I morti, lo abbiamo capito da tempo, hanno pesi specifici diversi a seconda della loro classe sociale o del colore della pelle. Ed è per questa cinica legge dei media che la strage di migranti davanti alle coste libiche si è meritata soltanto qualche articolo sulle pagine interne dei quotidiani o lo sguardo fintamente contrito dei conduttori sul finire dei telegiornali. Eppure quella strage non è stata la prima e, purtroppo, non sarà l’ultima. Ma soprattutto non è frutto di una tragedia o della rapacità di qualche scafista che non ha avuto remore ha stipare centinaia di esseri umani su barconi ormai inutili anche come legna da camino. A ben vedere, se si segue la catena delle responsabilità si finisce con l’arrivare proprio in quella stanza di Londra dove si riuniranno i rappresentanti dei 20 paesi più ricchi del mondo, quelli che da soli, per intenderci, rappresentano oltre l’85% del PIL mondiale. Qualcuno potrà rimproverarci di essere affetti dal solito riflesso  ideologico, quello per cui tutti i mali del pianeta sono ascrivibili al sistema economico capitalista. Eppure per rendersene conto basterebbe leggersi i borsini mondiali delle materie prime e delle derrate alimentari. Contrariamente a quanto ci spacciano quotidianamente i media mainstream la crisi economica mondiale non nasce per colpa di qualche investimento sbagliato di qualche speculatore, ma affonda le sue radici in quell’economia reale che tanti dipingono come virtuosa e contrapposta a all’economia finanziaria. Solo alcune cifre. I poveri spendono il 75% del loro già misero reddito per acquistare il proprio cibo. L’incidenza delle spese per alimentazione per un cittadino occidentale è mediamente del 15-18%. Ebbene, negli ultimi mesi il costo del riso è aumentato del 75%, quello del grano del 120%. Il FMI stima che il prezzo degli alimenti a livello mondiale sia mediamente cresciuto del 48%. E questo “uragano” ha finito con l’investire principalmente quei paesi che nei decenni passati erano stati costretti ad abbandonare le loro pur fragili agricolture di sussistenza per aderire ai fantomatici “Piani di Aggiustamento Strutturale” imposti dalla Banca Mondiale e dal FMI in nome delle “privatizzazioni” e del “privilegio delle esportazioni”. Un flusso di uomini e donne che non fanno altro che seguire quelle rotte già percorse dalle materie prime, dalle risorse energetiche e dalle merci e sotto l’impulso del saccheggio imperialista.