Con Cuba sempre, con Fassino mai.

Con Cuba sempre, con Fassino mai.

Da qualche settimana a questa parte molti media internazionali hanno rilanciato l’ennesima campagna stampa contro Cuba e il suo governo. Il pretesto, manco a dirlo, è la presunta violazione dei diritti politici degli altrettanto presunti dissidenti e la morte di Orlando Zapata Tamayo (leggi). In Italia il quotidiano che questa volta si è più distinto per faziosità ed aggressività nei confronti della Isla Grande è senza dubbio il Corriere della Sera, giornale da cui, fosse solo perché è considerato il più autorevole del belpaese, ci saremmo aspettati almeno un pizzico di attendibilità in più. Ma ormai l’abbiamo capito, i media mainstream servono a costruire il senso comune, a lanciare messaggi, non certo a fornire notizie. E quindi, pronti per l’uso, riecco spolverati gli articoli scritti da Rocco Cotroneo in un hotel di Rio de Janeiro e spacciati come cronaca in presa diretta di quello che succede per le strade de La Habana (leggi), riecco di nuovo i pezzi ricopiati tali e quali dai quotidiani di Miami e presentati ai lettori come “reportage” e riecco pure le “inchieste” costruite usando wikipedia e poi infarcite dall’immancabile dose di anticomunismo (leggi). Pazienza direte voi, sai che cosa gliene frega ai cubani delle frustrazioni di Pierluigi Battista o di qualche altro opinionista di via Solferino, hanno ben altre questioni da affrontare. Sarà anche così, eppure questo tipo di campagne mediatiche, oltre a tentare di minare la solidarietà di cui ancora la revoluciòn gode nel vecchio continente, qualche effetto negativo e immediato lo ottengono quasi sempre. Non ultima l’ipocrita dichiarazione di condanna dell’Unione Europea o la diffusione di un manifesto controrivoluzionario a cui hanno aderito alcuni politici ed esponenti del jet set europeo, in maggioranza spagnoli. Piccole cose, soprattutto adesso che Cuba può contare su importanti alleanze continentali che la preservano dalle ritorsioni commerciali, ma che comunque riflettono la continua volontà dei paesi imperialisti di isolare politicamente un’esperienza scomoda (per loro) e feconda (per i popoli oppressi). Ci pare però di poter affermare che in questa occasione la classe politica italiana, facendo disperare il nostro Battista (leggi), abbia dato scarso rilievo a questa nuova aggressione mediatica, probabilmente perché distratta dalla contesa elettorale o da qualche guaio giudiziario, e l’apparente paradosso è che in questo silenzio l’unico politico di peso (si fa per dire) nazionale che abbia sentito il bisogno di rispondere sull’attenti alla chiamata alle armi che viene da oltreoceano sia stato niente di meno che il “progressista” Fassino. Evidentemente, quando non è impegnato nelle riprese de Il Signore degli anelli, il nostro Gollum piemontese sente il dovere di dire la sua un po’ su tutto, ma come sempre gli succede tira fuori solo stronzate o infamità. Quindi se avete lo stomaco forte, oppure un antiemetico a portata di mano, potete leggervi la sua lettera al Corriere (leggi) e decidere da soli in quale delle due succitate categorie inserirla. Detto questo, veniamo ai fatti. Come abbiamo già riportato in un altro post Osvaldo Zapata Tamayo era quello che in Italia i giornali definirebbero un delinquente comune, un cittadino cubano che entrava ed usciva ripetutamente dalle prigioni per via di reati che non avevano nulla a che vedere con le sue opinioni (leggi) e che solo dal 2003 ha cercato di “politicizzare” la propria esperienza carceraria autoproclamandosi “dissidente” perseguitato dal “regime” cubano. Si trattava dunque di un personaggio per molti versi estraneo a quel vero e proprio circo Barnum in cui si muovono i vari Osvaldo Paya, Elizardo Sanchez, Marta Beatriz Roque, Yoani Sanchez, ecc. ecc. ovvero quella compagnia di giro che da vent’anni anima l’anticastrismo ad uso e consumo dei governi occidentali. Parliamo, per chi non li conoscesse, di veri e propri sciacalli che non solo non hanno mosso un dito per tentare di far recedere Tamayo dalle sue intenzioni autolesioniste, ma anzi lo hanno spinto a proseguire nel suo sciopero della fame. Poi, una volta morto, questi esqualidos non hanno esitato neanche un minuto a strumentalizzarne la figura, cercando di far credere all’opinione pubblica mondiale che le autorità cubane avessero dapprima volutamente lasciato morire Tamayo, negandogli le cure necessarie, e che poi avessero cercato di tenere nascosta la notizia. Ovviamente i giornalai (pardon, i giornalisti) nostrani se la sono bevuta per intero anche se, come dimostriamo col filmato qui sotto, era tutto falso. Il servizio che riprendiamo è stato mandato in onda in prima serata sulla rete televisiva nazionale e dimostra chiaramente come:
1)    Non ci sia stata nessuna omissione informativa, tanto che la vicenda è stata oggetto, per l’appunto, di un approfondimento televisivo e che lo stesso Raul ha pubblicamente parlato dell’accaduto;
2)    I medici cubani abbiano fornito a Tamayo tutte le cure necessarie spiegandogli ripetutamente i rischi che stava correndo e cercando di farlo desistere da questo lento suicidio, come testimoniano anche  i ringraziamenti della madre all’intero staff medico.

Ovviamente, per cercare di cavalcare l’onda emotiva suscitata dal suicidio, tutti i “dissidenti” hanno iniziato a paventare un’ondata di scioperi della fame, tanto da spingere molti giornali internazionali a ipotizzare una futura ondata di suicidi “politici” . Qualcuno era addirittura arrivato a disegnare parallelismi quantomeno irriverenti con Bobby Sands e gli hunger strikers irlandesi (leggi). A oggi però, l’unico ad essersi imbarcato in questa impresa “di massa” è stato un digiunatore di professione. Parliamo di quel Guillermo Farinas che Battista e Fassino dipingono come un martire per la libertà, ma che al momento è già arrivato al decimo sciopero della fame. Una sorta di Pannella caraibico la cui credibilità è pari a quella del digiunatore nostrano, ovvero prossima allo zero. Tanto per dirne una, il 31 gennaio del 2006  il nostro Ghandi dei tropici (l’hanno definito così) iniziò uno sciopero della fame che, a suo dire, venne interrotto solo dopo ben cinque mesi di digiuno (leggi). Questa qui sotto è la foto di Farinas nel gennaio del 2006 quando smise di alimentarsi…

Che qualcuno ci spieghi, adesso, come sia possibile che un individuo evidentemente già sotto peso come il nostro “dissidente” sia riuscito a superare incolume oltre 150 giorni di digiuno, stabilendo così un record mondiale degno del Guinnes dei primati. Appare evidente che stiamo parlando di una bufala grossa come una casa ed è altrettanto evidente che anche questa volta con ogni probabilità il nostro “eroe” dei diritti umani non ci lascerà le penne. Questo perché, contrariamente a quanto ci viene comunemente spacciato dalla “libera” stampa, se c’è un paese in cui la dissidenza politica se la passa bene, è proprio Cuba. Ognuno di questi gusanos, a meno che non commetta dei reati specifici, può girare tranquillamente per l’isola senza che nessuno gli torca un capello, ma può contare, soprattutto, sui fondi che annualmente stanzia il Dipartimento di Stato statunitense per finanziare la controrivoluzione. Parliamo di qualcosa come circa 1000 dollari al mese in un paese dove lo stipendio medio di un medico equivale a 25 dollari. Altro che persecuzione, la dissidenza è un vero e proprio business. Non a caso la maggior parte di questi “dissidenti” si è manifestata all’inizio degli anni ’90, quando con l’implosione del blocco sovietico ebbe inizio a Cuba un periodo di crisi economica senza precedenti, il periodo especial. Tutti, fuori dall’isola, credevano che da un momento all’altro anche la rivoluzione cubana avrebbe ceduto il passo alla restaurazione capitalista così com’era accaduto nei paesi dell’Est (prendendosela in quel posto Ndr) e iniziarono così a cercarsi dei propri referenti in loco, in modo da poter partecipare all’eventuale spartizione della torta. Sempre in quel periodo si sono formati una quantità di micro partiti, senza alcuna base sociale e senza alcun peso reale. Gruppi che per quanto sono esigui potrebbero tranquillamente tenere le loro assemblee nazionali dentro una cabina del telefono e che da anni non fanno altro che accapigliarsi l’uno con l’altro per spartirsi la torta dei finanziamenti USA. Non a caso i cubani, quelli veri, la gente de la calle, non li sopporta per nulla, anzi li detesta, e non perde mai occasione per dimostrarglielo chiamandoli con il loro vero nome: mercenari.