childrens of babylon

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Secondo l’UNICEF  e l’ILO sarebbero oltre 150 milioni i bambini che, mentre leggete questo post, sono costretti a lavorare per vivere e magari mantenere le proprie famiglie. Una cifre enorme, spaventosa, soprattutto se si pensa che la metà di questi bambini fa lavori pericolosi: in miniera, nei campi irrorati da pesticidi, a contatto con le esalazioni dei rifiuti…  Insomma lo sfruttamento del lavoro minorile è certamente uno dei frutti più vergognosi del “capitalismo reale” che però, almeno nell’immaginario dominante, viene per lo più associato ai cosiddetti paesi poveri (un eufemismo per non dire sfruttati). E invece non è così, o meglio, non è solo così. Un’inchiesta dalla ABC ha fatto emergere un dato agghiacciante. Nello stato del Michigan (USA), oltre il 50% delle aziende produttrici di mirtilli e frutti di bosco impiega manodopera infantile a partire dai 5 anni di età. Sono i figli dei mojados, gli immigrati clandestini messicani, preferiti agli adulti per via delle loro mani piccole e delicate e quindi più adatte a raccogliere le bacche evitando quelle ammaccature che le deprezzerebbero. E la stessa cosa avviene anche in New Jersey, North Carolina e California per la raccolta dei pomodori. Non ricordiamo chi, disse che il livello di civiltà di un Paese e di un sistema sociale si misura su come tratta i bambini. Ecco, appunto.