Biji serok APO

Biji serok APO

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Oggi, leggendo La Repubblica, abbiamo appreso che Leyla Zana, un’incredibile donna che insieme ad Abdullah Ocalan è divenuta il simbolo della lotta per l’indipendenza del popolo curdo, è stata condannata a 10 anni di carcere da un tribunale turco. L’accusa è quella di “propaganda terrorista”, formula con cui l’inquisizione del regime punisce chiunque sia sospettato di simpatie per il Partito dei Lavoratori Curdo, il PKK. Ma per andare in carcere, nel Kurdistan occupato, basta anche meno. Basta, ad esempio, anche solo esporre insieme il giallo, il rosso e il verde (i colori della bandiera curda) oppure basta azzardarsi a parlare pubblicamente nella propria lingua. Ed è proprio per questo che Leyla era già stata condannata nel 1994. Per aver parlato in curdo davanti a suoi “colleghi” attoniti, lei, deputata al parlamento, ha già scontato 10 anni.

La notizia però, oltre che ad indignarci, è servita a riportarci indietro di un decennio, ad una delle pagine più belle del movimento romano. E la memoria è tornata a quel novembre del 1998, a quando Ocalan si rifugiò in Italia e centinaia di curdi raggiunsero immediatamente Roma da tutta l’Europa. A quando Piazza del Celio diventò Piazza Kurdistan. A quando decine di compagne e compagni si spesero generosamente in uno slancio di solidarietà internazionalista senza precedenti. A quando Dino lottava ancora tra noi. A quando si ballava in cerchio, intorno a falò improvvisati, per combattere il freddo di quelle notti. A quando i cortei sfilavano per Roma al grido di Biji Serok Apo. A quando eravamo tutti curdi. Crediamo che quello spirito debba essere recuperato, perché dopo il tradimento di D’Alema, abbiamo dimenticato troppo in fretta quelle facce smettendo colpevolmente di sentirci tutti curdi, e il silenzio è calato come una cappa sulla lotta di un popolo che comunque continua, dolorosa e implacabile. Per questo motivo il 12 dicembre sfileremo in piazza anche con le bandiere curde, forse è poco, anzi, sicuramente è poco, bisognerà fare di più e lo faremo, ma che almeno si sappia che Leyla e Apo non sono soli.