Aree di influenza ed espansionismo imperialista: il ritorno del Novecento

Aree di influenza ed espansionismo imperialista: il ritorno del Novecento

Sebbene l’intervento russo in Crimea non sia inscrivibile in una cornice politica di mobilitazione antifascista, e nonostante le contraddizioni esplose nell’area ucraina siano la concretizzazione drammatica di una lotta per l’egemonia in una regione vitale per lo sviluppo del capitale, quella dell’est europeo, ecco, nonostante tutto questo, l’intervento russo assume oggi i caratteri della resistenza politica ad un disegno imperialista europeo che punta al continuo allargamento della propria influenza a discapito dei suoi concorrenti internazionali. In sintesi, la mobilitazione militare russa nulla ha a che vedere con le statue di Lenin tirate giù dai nazionalisti ucraini, nè con le mobilitazioni neonaziste avvenute in questi giorni e con la conseguente risposta di parte della popolazione ancora antifascista, né tantomeno con mire di democratizzazione di quello Stato opposte alle derive autoritarie che questo assumerebbe sotto l’influenza europeista. Non è possibile quindi leggere lo scontro in atto come battaglia fra due campi ideali avversi, come se da una parte ci fossero le forze antifasciste e dall’altra quelle naziste, o come se da una parte ci fosse una quota di democraticità in più rispetto all’altra. Non possiamo riproporre quindi dinamiche da Novecento, quando c’erano campi ideali opposti, in un contesto differente in ogni sua caratteristica. Questa visione delle cose, oltre che ragionare in termini esclusivamente geopolitici di scontro fra potenze in apparenza contraddittorie ma in realtà interne ad uno stesso modello di sviluppo, nasconderebbe la realtà dei fatti di uno Stato, quello russo, che quotidianamente attua una feroce repressione verso ogni forma di concreto antifascismo nel suo territorio. Tralasciando il fatto che il ceto politico russo oggi al governo è il medesimo che si è formato sulle rovine dello Stato socialista, spogliandone ogni risorsa economica, arricchendosi a discapito proprio di quello Stato inteso come ente pubblico, e dunque agendo chiaramente in funzione anti-proletaria.

Nonostante ciò, l’intervento russo sta impedendo l’inglobamento dello Stato ucraino nel progetto imperialista europeo, e in questo momento qualsiasi cosa costituisca un freno per il dispiegamento di tale progetto è oggettivamente migliore di quel progetto. Per di più, in quelle piazze c’erano componenti politiche ben precise ma non una lotta sociale contro questo o quel governo. Yanukovich non è accusato di essere più o meno capitalista, visto che la mobilitazione è stata in ogni momento sostanzialmente manovrata da alcuni degli uomini più ricchi del paese, garanti economici del partito di Yulia Tymoshenko (ad esempio Pavel Lazarenko, non a caso Primo Ministro ucraino all’epoca delle grandi privatizzazioni). Yanukovich è accusato di essere troppo filo-russo, mentre quei manifestanti chiedevano un’Ucraina filo-europea. Le altre generiche accuse (sistema autoritario, repressione, corruzione) servivano solo per irretire un’opinione pubblica europea col solito discorso anti-autoritario. Perché se è palese la poca democraticità dello Stato ucraino, nulla di tutto questo potrebbe mai essere posto in discussione dalle forze naziste che si stanno contendendo l’egemonia di quelle piazze, né potrebbe cambiare qualcosa la signora Tymoshenko, visto che con quelle oligarchie che oggi vengono accusate di ogni abominio ci ha intrallazzato per decenni. Non a caso il problema del governo non è, paradossalmente, il governo stesso, ma l’uomo simbolo del rapporto privilegiato (o sottomesso) con Mosca, appunto Yanukovich.

E’ dunque in gioco l’integrazione dello Stato ucraino in una determinata area d’influenza. Il fatto è che oggi, per il mondo nel suo complesso e soprattutto per le popolazioni che vivono direttamente sotto tale influenza, il problema di gran lunga più imminente e complessivo è la costruzione del superstato europeo. Il nostro problema, inteso come problema di classe e del rapporto di forza oggi assai arretrato, è disarticolare il progetto europeista, rompere la gabbia neoliberista e neoliberale entro la quale l’attuale governo economico europeo ci ha relegato.  

Per di più, in Ucraina non è avvenuta alcuna mobilitazione popolare, nonostante quote importanti di società siano scese in piazza. Era e rimane una piazza sbagliata, sia perché oggettivamente fa gli interessi di posizioni politiche irricevibili, sia perché soggettivamente composta da quel pezzo di società che ha tutto da guadagnare dall’entrata dello Stato nell’orbita europea liberandosi dell’influenza russa. Nonostante dunque gli obiettivi russi non siano conciliabili con quelli democratici come generalmente li possiamo intendere, oggi impedire l’entrata dell’Ucraina nel contesto europeista costituisce senza dubbio quantomeno una resistenza al piano imperialista. Non sarà un passo avanti, ma ne impedisce diversi indietro. E questo è stato còlto anche dalle organizzazioni proletarie del paese, che infatti tra i due schieramenti non hanno remore a prendere posizione per la resistenza russa. Stare nel mezzo in compagnia degli ignavi reitera solo un atteggiamento tipico di una certa sinistra interessata al proprio municipio ma incapace di leggere i fenomeni politici di grande proporzione. Oggi, così come in ogni momento conflittuale, stare nel mezzo significa appoggiare il nemico più forte. Ed è per questo che, consci di tutti i “nonostante” espressi in precedenza, oggi l’intervento russo rappresenta un aspetto della resistenza al progetto imperialista europeo, perciò da preferire al tranquillo scorrere degli eventi determinati dall’Unione Europea. Per l’Unione Europea non ci deve essere alcuna tranquillità egemonica, ma il moltiplicarsi di conflitti che ne incrinino la stabilità. L’intervento russo è uno di questi.

Di questo e di altro parleremo oggi a via Giolitti nell’iniziativa di analisi della situazione ucraina, in un dibattito co-promosso con la Rete dei Comunisti.