(Ancora su ciò che insegna la lotta NO TAV)

(Ancora su ciò che insegna la lotta NO TAV)

Le considerazioni espresse nel nostro ultimo post sulla questione TAV, sommate alle considerazioni emerse in calce a quello che lanciava il corteo di sabato scorso a Roma, hanno ampliato lo spettro del dibattito. E lo hanno fatto in maniera sicuramente costruttiva, perché quotidianamente si può dire di aver appreso qualcosa avendo come denominatore comune la lotta valsusina.
Dietro la battaglia contro la Torino-Lione, è possibile scorgere una duplice dimensione; la prima, quella al momento più dibattuta, è una dimensione nazionale (se non addirittura transazionale, laddove si inseriscono le notizie delle battaglie e dei sabotaggi contro l’intero progetto del corridoio 5 che si stanno propagando in Europa, da Kiev a Lisbona), ampiamente sviscerata sia su questi schermi sia (in particolare) sui network torinesi di movimento e sui canali più o meno ufficiali delle lotte sociali. Anche su questo livello, però, sentiamo di dover sottolineare il rischio di una dinamica di sabotaggio che media e tecnocrati vari stanno approntando in queste ultime 48 ore.

Che il movimento NO TAV sia oggi un elemento di coesione sociale, un comune denominatore appunto, insomma l’enzima che ha riacceso i focolai di lotta e dissenso nell’intero territorio nazionale, è oggi cosa nota e assodata; così come lo è la sua capacità costituente nei termini in cui la lotta contro l’alta velocità riesce ad essere bacino e cassa di risonanza di una più ampia opposizione all’imperante modello capitalistico che ogni giorno ci mette con le spalle al muro. Questa qualità aggregativa, questa capacità di farsi sintesi di lotte ricorda molto – seppur con i dovuti distinguo, prima di tutto politici – la grande massa critica che le lotte operaie del decennio ’70-’80 erano riuscite ad accumulare intorno a sé. Una maggioranza di consenso politico attorno a cui si cementavano le altre piccole lotte per i diritti sociali e civili, comunque conseguenze dirette del braccio di ferro tra classe e Capitale e dalla mutazione dei rapporti di forza che via via ne derivavano. E così oggi, intorno al NO TAV, si saldano alleanze sociali altrimenti pronte ad ignorarsi, normalmente disorganizzate e politicamente autistiche. Oggi la lotta No TAV assurge una dinamica territoriale a questione nazionale, trascinando consensi e lotte che travalicano il problema ambientale e la speculazione edilizia, ma arrivano a gridare contro le lobbies di potere che muovono gli ingranaggi della finanza e del Capitale.
La storia ci ricorda come ancora oggi scontiamo la sconfitta di quel grande movimento che negli anni ’80 non portò a casa la vittoria; quel movimento che, simbolicamente, è stato dichiarato sconfitto dalla marcia dei 40mila colletti bianchi della Fiat, ormai quasi 32 anni fa. Oggi qualcuno sta riproponendo lo stesso schema; dare voce alle ragioni del si, dei padroni, dello sviluppo, a danno della causa NO TAV; con la complicità, scontata ma irritante, delle testate giornalistiche e dei media mainstream tutti. Il quotidiano del governo Monti, Repubblica, ha concesso una strumentale “tregua” di 24 ore dopo la contestazione che le ha ricordato l’esistenza di un movimento NO TAV adulto, 25nne; una piccola intervista ai contestatori, il silenzio sui numeri dei cortei del sabato pomeriggio, e poi di nuovo giù a sparare cazzate e infamie. De La Stampa, non sappiamo se vale la pena parlare. Oggi caricava a salve la presenza di Napolitano ad un convegno del CSM a Torino, lanciando allarmi di contestazione dopo il “no” del Presidente all’incontro con i sindaci No Tav della Valle.
Ma soprattutto è La Stampa, con gli altri alfieri della comunicazione embedded, a creare in questi giorni il terreno politico e d’opinione che dovrà ospitare la nuova marcia dei 40mila (ma con le dovute proporzioni… questi saranno al massimo 40): lo spazio dedicato ai sindaci pro Tav, le lamentale di un paese in decrescita e l’assenza di turismo, quindi di lavoro… fare il tifo per i sindaci bravi contro quelli cattivi… insomma, le stanno tentando tutte, non ultima quella – espressa dal ministro Passera in un’intervista di oggi su (guarda caso) La Stampa – di dire che la maggioranza dei Comuni che si oppongono alla TAV non ne saranno minimamente interessati dai lavori della linea ad alta velocità…
Insomma, il terreno è pronto, lo scontro si fa verticale, poiché scendono in campo gli scagnozzi dei poteri forti, quell’insieme di imprenditori e piccoli impresari che venderebbero l’anima al diavolo per un assegno in più da incassare, contro un movimento maturo che si è fatto coscienza e che produce consenso.
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Ma veniamo alla seconda dimensione, cui accennavamo all’inizio di questo post. Che la lotta NO TAV registri una crescente maturazione del dibattito politico nazionale (almeno in termini di Movimento), non deve però farci dimenticare alcuni passaggi su cui non dobbiamo soprassedere.
Oggi il massimo sforzo dei movimenti e delle lotte deve essere profuso nella capacità di sostenere la lotta valligiana, convergendo in Val Susa quando sono i compagni a chiederlo oppure (per riprendere uno dei nostri art work) creando due tre molte Val Susa, ognuno nelle proprie città e province, ognuno in modo unitario e secondo le proprie capacità politiche ed organizzative. L’opposizione alla Torino-Lione è oggi elemento unificatore anche in contesti che normalmente non conoscono grandi convergenze ecumeniche e/o afflati dialoganti; noi siamo testimoni del caso romano, su cui spesso – ma in riferimento ad altri contesti – abbiamo riflettuto. Non apriamo polemiche, ci mancherebbe; abbiamo sempre dichiarato di volerci muovere in una direzione ricompositiva del conflitto sociale, e su questa linea abbiamo sempre operato anche in queste settimane di mobilitazione in solidarietà attiva con la Valle. Eppure, secondo noi, andrebbe evidenziato come la crescita collettiva dovuta alla lotta in Piemonte non proceda di pari passo con la crescita collettiva dei singoli territori nazionali che la sostengono. Ci si unisce, in maniera più o meno armoniosa, per l’emergenza, per l’evento che presuppone una risposta immediata. L’emergenza diviene norma, l’eccezione dunque regola.

Ora, non siamo qui ad evangelizzare il movimento, romano e non, affinché si crei una nuova sintonia o si lavori più spesso più insieme; sappiamo cosa vuol dire fare politica e non siamo sognatori. Però riteniamo che non ci si possa ugualmente nascondere dietro la maturità del movimento NO TAV per ignorare quelli che, con declinazione territoriale in tutta Italia, sono i limiti delle lotte sociali. L’ipotesi che il Governo conceda tregue sulla TAV non ha mai preso corpo con convinzione, e anzi l’ultima settimana ha definitivamente sgombrato il campo da dubbi: la TAV s’ha da fare. Stringersi intorno alla lotta valsusina è un imperativo al quale rispondiamo presente con una certa determinazione, ma dovesse essere necessario aprire un fronte di lotta, nei vari territori, che ecceda la questione TAV per allargare e collegare le voci di dissenso – ebbene, chi potrebbe dirsi maturo e radicato, sul proprio territorio, come i NO TAV invece ci insegnano da 25anni in Valle? Tempo al tempo, per carità; ma l’ipotesi di un sostegno dislocato su base nazionale e che colleghi la problematica TAV alle speculazioni, alle crisi finanziarie ma soprattutto all’implosione del Capitale, alle cessioni di sovranità degli Stati in recessione – insomma, a quello di cui dibattiamo ogni giorno – è l’ipotesi sicuramente più valida per sostenere, a priori e senza il feticismo della singola emergenza, una lotta che oggi fa accumulazione, consenso e conflitto. Perché NO TAV oggi, in Italia e in Europa, è sinonimo di lotta anticapitalista; ma soprattutto perché la sconfitta della lotta NO TAV, oggi, come fu quella del movimento operaio negli anni ’80, significherebbe cedere una fetta importante dell’agibilità politica dei movimenti. Di oggi e di domani.