ADDIO RIFONDAZIONE PARTE 2

ADDIO RIFONDAZIONE PARTE 2

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Eccoci di nuovo a parlare di Rifondazione. Del suo lento e inesorabile declino, della sua scomparsa dall’immaginario sociale prima che politico e parlamentare. A conti fatti, nessuno ne sentirà la mancanza. Ciò di cui se ne sente il bisogno invece, è una organizzazione che ne prenda le veci e che riorganizzi tutta quella serie di militanti che nel bene e nel male ne costituivano la forza. Questo perché tutto quel patrimonio sociale di cui disponeva siamo sicuri non andrà ad ingrossare le fila delle formazioni comuniste e anticapitaliste, bensi rifluirà nel privato o si adatterà a ciò che diventerà la nuova Rifondazione. Militanti di un partito che si sta spostando sempre più verso destra, abbracciando le mode politiche momentanee e allontanadosi sempre di più da un analisi marxiana della società. Militanti che, come alternativa a tutto questo, hanno da una parte i micro partitini comunisti autoreferenziali e inconsistenti, dall’altra un movimento che fatica a ricompattare l’opposizione sociale che pure aveva sfilato unita e cosciente il 17 Ottobre a Roma nello sciopero del sindacalismo di base e dei movimenti sociali.

La vicenda però sta assumendo toni grotteschi. Senza sprezzo del ridicolo, oggi è avvenuto l’ennesimo atto della vicenda che sta portando rifondazione al suo scioglimento. Scalzato Sansonetti quale direttore di Liberazione, l’ala Vendoliana del partito ha colto la palla al balzo per dichiarare le futura scissione. Questa scissione, che era già nell’aria dal congresso del Luglio scorso, finalmente è stata esplicitata cogliendo il momento opportuno. Una presunta caccia alle strega di sapore vagamente staliniano sarebbe l’accusa promossa dalla minoranza Vendoliana ai Ferreriani. Ora, il problema è che questa scissione porterà da una parte la destra del partito ad una alleanza con le forze della sinistra riformista. Dall’altra, l’ala ferreriana rimarrà col cerino in mano rappresentando la metà del 3% che attualmente rappresenta. Decretando così la sua scomparsa. Scomparsa che ovviamente non deriva solo dalla scissione interna. Se così fosse staremmo già un passo avanti. Eliminata la parte riformista che frenava il partito, si potrebbe ripartire così verso un nuovo tipo di rifondazione comunista. E invece anche l’attuale maggioranza persegue con altri toni il programma dei vendoliani. E cioè dichiarare sorpassata ogni forma di analisi sociale che faccia della divisione in classi l’elemento sui cui si fonda la società. Questo, nel pratico, porta ad errori di valutazione incalcolabili. E cioè, se da una parte si darà battaglia sui diritti civili per gli omosessuali, dall’altra si organizzeranno lotte sul carovita di vago sapore populista. L’impianto di fondo è lo stesso. Fare politica sul superfluo, o, nel migliore dei casi, su diritti che non verranno mai effettivamente garantiti senza un ripensamento generale del modello di produzione. Anche volendo essre buoni e pensare alla buona fede di queste azioni, sta proprio qui l’utopia, e cioè quella di poter in qualche modo governare il capitalismo senza porsi come alternativa ad esso. E quindi un cambiamento del modello di produzione viene considerato folle o quantomento irrealizzabile,  governare il capitalismo invece è ritenuto a portata di mano. Per costruire cosa? Un capitalismo dal volto umano? A noi sembra che questo capitalismo benevolo sia stato presente anche in Italia nella prima repubblica, prima di lasciare spazio al neoliberismo da far west. E cosa ha prodotto? La felicità dei lavoratori o un loro appagamento sociale o economico? O un progresso fondato sulla mano d’opera sottopagata?

Se dopo anni di ripensamento dei riferimenti politici storici la situazione è questa, vorremmo una umile presa di coscienza da parte dei dirigenti. E cioè che tutto questo non ha pagato. Non in termini elettorali, unico punto di riferimento ormai del partito. E’ proprio nell’immaginario sociale che il cambiamento di rotta è stato avvertito. O meglio, il punto di riferimento sociale che ne costituiva la base ha decretato la fine di questo progetto. Non le lotte interne al partito. Non Berlusconi o il PD. Se la classe di riferimento ha voltato le spalle a questo progetto politico, è li che va capito il perché, non nei salotti di Vespa.  Rifondazione, o chi per essa, deve tornare ad una analisi di classe che individui il soggetto che vuole rappresentare, e da li ripartire. Ripartire dalle esigenze e dai bisogni della classe sociale di riferimento, senza equivoci appelli al popolo o agli elettori, ma difendere e sviluppare le posizioni dei lavoratori. Solo questo può riportare i lavoratori a sentirsi rappresentati da un soggetto di sinistra che non sentono più come proprio, preferendogli la Lega Nord o qualsiasi altro riferimento populista al soggetto politico che storicamente gli ha sempre rappresentati. Vorremmo, ma sappiamo essere buoni profeti del fatto che non accadrà, che avverrà il contrario; e cioè si rincorrerà sempre di più il mito neoliberista della società liquida, disarticolata, non più stratificata ma individualizzata in cui ognuno è imprenditore di se stesso e si costruisce da solo, in base alle sue capacità. Noi riponiamo ancora speranze che non tutto sia finito, e proprio questo nostro interrogarci sulla vicenda di rifondazione è un segnale di stimolo e di impulso che diamo, prima che ai dirigenti, ai militanti del partito, affinchè esprimino tutto il loro dissenso all’interno del partito e cerchino di riportarlo a posizioni pù consone, a posizioni di classe.