1 MAGGIO: NON SOLO FAVE E PECORINO/2

1 MAGGIO: NON SOLO FAVE E PECORINO/2

Sembra incredibile, ma dopo anni capita che il Primo Maggio si torni a parlare di politica, oltre che delle condizioni meteo per la gita fuori porta e della conduzione del concerto di San Giovanni. Per non essere colti subito da contagioso entusiasmo, specifichiamo subito che si parla di politica ma che vincono i padroni, pure a questo giro. La questione riguarda l’apertura dei negozi durante il Primo Maggio. La proposta, neanche a dirlo, è partita da un sindaco PD, il paraculissimo Renzi (Firenze), ed è stata subito raccolta da colleghi di altre città, più o meno a voce alta. Ora, che il PD abbia da tempo smesso di tutelare, anche nella maniera più moderata possibile, il diritto al lavoro (che significa anche diritto al riposo e al non-lavoro, ovviamente) è un’evidenza che non fa più notizia. Quello che merita attenzione, invece, è la risposta dei sindacati: la Filcams Cgil (che dovrebbe difendere i lavoratori, in quanto sindacato) si è detta contraria e ha invitato i suoi iscritti a non andare a lavorare quel giorno. Qui siamo al teatro dell’assurdo: anziché proclamare uno sciopero (in un periodo peraltro utile, dal momento che la Filcams Cgil non aveva firmato il rinnovo del contratto nel commercio) si fornisce ai lavoratori una maldestra e timida indicazione – “non andate a lavorare” – nella speranza che alcune condizioni oggettive (sarà difficile per molti lavoratori raggiungere il centro di Roma nella mattinata del Primo Maggio per la “zona rossa” causata dalla beatificazione di Wojtyla) e soggettive (il legittimo desiderio di non lavorare almeno il Primo Maggio) consiglino ai dipendenti di restare a casa e facciano sorgere il problema ai negozianti. La Uil ha nicchiato, mentre la Cisl si è subito calata le mutande – esercizio nel quale ha raggiunto livelli di velocità da primato. La cosa assurda è che, sulla piazza romana, persino una organizzazione padronale come la Confesercenti si è dichiarata contraria all’apertura, facendo notare come Roma sia la città europea con meno giorni di chiusura (otto in tutto l’anno).
A ben vedere, quella appena descritta non è solamente una vertenza che riguarda un particolare settore lavorativo, spesso dimenticato dai compagni (si pensi alla pressoché totale assenza del sindacalismo di base), nonostante riguardi un gran numero di lavoratori e rappresenti uno dei pochi settori in cui si trova lavoro (l’Italia è un Paese che ha smesso di produrre beni e merci, ma li vende sempre di più: mistero della fede). Meno che mai si tratta di una questione confinata al Primo Maggio, destinata a essere dimenticata il 2 maggio, il 3…
Rappresenta, invece, l’ennesima conferma di come la contrattazione nazionale sia ormai carta straccia e di come sull’altare del commercio e della vendita si debba sacrificare qualsiasi tipo di diritto. Aprire il Primo Maggio è il passo iniziale per un’apertura totale per qualsiasi tipo di negozio (come già avviene, del resto, nei grandi centri commerciali), facendo diventare le città italiane tante grandi e piccole Las Vegas vendute al turismo straniero (perché sarà difficile per gli italiani affollare i negozi senza soldi nel portafoglio). I sindaci diffondono l’idea che un negozio aperto la domenica sia “un servizio offerto al cittadino”, glissando sull’altra faccia della medaglia (che dovrebbe essere ben più importante): un abuso sulla pelle di chi ci lavora come dipendente. In aggiunta, è bene ricordare che un’apertura indiscriminata durante la settimana avrà ripercussioni, più banalmente, anche sulla busta-paga e sulla turnazione: se il negozio è sempre aperto, ogni giorno diventa feriale per il dipendente, quindi chi lavora di sabato o di domenica non avrà diritto a nessuna retribuzione maggiorata (come infatti già avviene per i tanti part-time che vengono fatti lavorare solo nel finesettimana), né a giorni di riposo aggiuntivi. Insomma, da un evento apparentemente inferiore come l’apertura del Primo Maggio troviamo un’ulteriore conferma di come si stia tornando indietro di decenni, rispetto alla tutela dei lavoratori. Una sorta di “modello-Marchionne” applicato alla vendita delle mutande e della mortadella. Anche questo, purtroppo, già previsto…