la nostra vita…

la nostra vita…

La ricchezza delle società, nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico, appare come una “immensa raccolta di merci” e la singola merce appare come sua forma elementare. Marx iniziò il Capitale con questa elementare constatazione avendo ben chiaro come nella società dominata dal profitto tutto, compresa la vita di un lavoratore, potesse essere ridotto a merce, con un valore d’uso ed un valore di scambio. E’ lecito domandarsi dunque quale sia, nell’Italia civile e democratica del 2010, il valore di scambio di un operaio. Sappiamo quanto troppo poco costi ai padroni poter disporre della sua forza lavoro ma, ci chiediamo, qual è il prezzo della sua vita o della sua morte? Un qualsiasi economista classico ci risponderebbe che nel breve periodo è il mercato attraverso la legge della domanda e dell’offerta a fare fare il prezzo, mentre nel lungo periodo questo valore non potrà che oscillare intorno al costo di produzione. Ecco, giusto, il costo di produzione… e quanto costa “produrre” un lavoratore in un pianeta in crisi che sforma milioni di disoccupati? Poco? Pochissimo? Ancora di meno di pochissimo? La risposta a quest’assurdo quesito ce la fornisce la cronaca di questi giorni. Ieri sono finiti in manette gli ispettori della ASL che hanno manipolato la documentazione sulla sicurezza della DNS di Capua. Antonio Di Matteo, Giuseppe Cecere e Vincenzo Russo sono morti per una mazzetta da 18 mila euro. 6000 euro ciascuno. Nell’Italia civile e democratica del 2010 la vita di un operaio vale 6000 euro…