eje eja all’appalto

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da osservatoriodemocratico.org

Dal picchiatore Lucarelli al generale Mori fino ai discussi Kappler e Bonifati. Tracciamo per la prima volta la mappa degli uomini piazzati da Alemanno nei posti chiave della capitale. Un sistema di potere che mostra il vero volto del sindaco nero di Roma.

Avrebbe dovuto rivoluzionare e mutare lo scacchiere di potere che controllava Roma da un quindicennio. Aveva assicurato tutti in campagna elettorale: «Questa è la pioggia che è venuta a bagnare Roma, per lavare la capitale dall’affarismo e dai gruppi di potere». Voleva destrutturare il feudo prima rutelliano e poi veltroniano contro i palazzinari per una città sicura. Gianni Alemanno voleva. Ma dopo i suoi primi otto mesi da sindaco è già possibile tracciare la mappa di un impresentabile sistema di potere. Punto per punto, vediamo quali sono temi e personaggi caldi.

ACQUA, RIFIUTI E BOTTE

Subito definito Retromanno, per le altalenanti scelte e dichiarazioni, su un punto il sindaco è stato fulmineo: le nomine. Ha dimissionato 31 dirigenti dell’era veltroniana imbarcandone 33: «un contentino per tutti i fedelissimi di An – ringhiano gli avversari – sembra la prima repubblica, sarà l’influenza del suo vice Mauro Cutrufo, democrazia cristiana per le autonomie». Alla presidenza di Acea, multinazionale dell’acqua, che gestisce i processi di privatizzazione dell’oro blu e affari milionari dalla Campania fino all’Honduras, Alemanno ha messo un palazzinaro, Giancarlo Cremonesi, che in campagna elettorale non si perdeva una cena con l’amico Gianni. Toccherà a Cremonesi, ex presidente dell’Acer, l’azienda che riunisce tutti i costruttori romani, gestire il cambio di assetto societario in Acea, con la possibilità dell’aumento di quote azionarie da parte dei soggetti forti. Un processo di privatizzazione che potrebbe sottrarre al comune la quota di maggioranza, oggi al 51%. Due i colossi privati in campo: la francese Suez Gaz e il gruppo di Francesco Gaetano Caltagirone. Giorgio Cremonesi mantiene però il suo ruolo nella discussa Sviluppo Lazio, alla cui guida siede il piduista Giancarlo Elia Valori. Acea intanto ha esteso il suo raggio d’azione ai rifiuti. Alemanno ha chiesto e ottenuto la proroga della discarica di Malagrotta, un’autentica bomba ecologica per gli ambientalisti del Lazio. Ma l’ennesimo affare per un altro potente fan del sindaco “nero”, il re del sacchetto Manlio Cerroni. Il Consorzio Coemo, targato Cerroni, è già pronto a costruire un inceneritore ad Albano. A capo del dipartimento che vigila sul delicato settore rifiuti Alemanno ha piazzato Paolo Togni. Un passato al ministero dell’Ambiente tra grane e inchieste giudiziarie, nel 2006 Togni era stato coinvolto in una indagine su affari e massoneria. Accanto a sé il sindaco sceriffo ha voluto poi un fascistone della prima ora come Antonio Lucarelli, ex base autonoma, protagonista dell’occupazione del primo centro sociale di destra “porte aperte”, un cuore nero che lo ha condotto a Forza Nuova di Roberto Fiore. Lucarelli nel 2000 guidava i camerati alla rivolta contro il gay pride, gonfiando il petto: «Impediremo fisicamente agli omosessuali di arrivare l’8 luglio al Colosseo». Qualche anno dopo Fn con manifesti in tutta la città chiarirà il suo pensiero: «No more gay, basta froci». Lucarelli, transitato in An, ha fatto il grande salto: ora in Campidoglio è a capo della segreteria politica di Alemanno. Doveva essere un “segnale concreto” a tutti coloro che si aspettavano, col cambio di amministrazione, una svolta sul terreno a rischio della sicurezza. E invece? «Da quando è sindaco sono aumentati le aggressioni verbali, ma anche fisiche – denuncia Fabrizio Marrazzo, presidente dell’Arcigay Roma – in questi mesi le segnalazioni sono cresciute del 30 per cento». Del resto Alemanno, che aveva vinto le elezioni battendo il tasto della sicurezza e cavalcando l’onda dell’indignazione per lo stupro-omicidio della signora Reggiani, quando si era trattato di condonare tre anni a malfattori di ogni genere, nel 2006, non ci aveva pensato su due volte, votando l’indulto contro la linea del suo stesso partito. All’epoca era anche indagato nell’affaire Parmalat: aveva ricevuto, secondo l’accusa, finanziamenti da Calisto Tanzi prima del crac. Diventato primo cittadino dell’Urbe ha capito che con gli annunci non si va da nessuna parte e ha dovuto portare fiori a destra e a manca, dopo i ripetuti casi di violenze e stupri.

MEMENTO MORI

Così Alemanno ha pensato bene di affidare l’ufficio extradipartimentale per la sicurezza a un generale e a metà luglio ha incaricato Mario Mori di assumere questo ruolo. Spesa per i contribuenti: circa 150 mila euro all’anno. Esclusa la parcella del Capitano Ultimo (al secolo, Sergio Di Caprio), giunto in Campidoglio al seguito di Mori. Lo stesso tandem di investigatori che avrebbe dovuto sorvegliare il covo palermitano di Totò Riina, svaligiato e ritinteggiato dai boss, ma soprattutto ripulito del maxi elenco (tremila nomi di personalità colluse con la mafia) al quale fa esplicito riferimento lo stesso Ultimo nel corso di un’udienza dibattimentale al tribunale di Milano. Insieme a Mario Obinu, suo ex braccio destro, il generale Mori è a giudizio per favoreggiamento aggravato alla mafia nell’ambito di un processo che si svolge a Palermo. Per i pm, avrebbe favorito la latitanza di Bernando Provenzano. Grande accusatore al processo è il colonnello dei carabinieri Michele Riccio, oggi in pensione. Sotto i riflettori, in aula, il mancato blitz di Mezzojuso, nel palermitano, che nel 1995 avrebbe potuto portare, in base alle indicazioni del boss Luigi Ilardo, confidate a Riccio, all’arresto di Provenzano. Tra un’udienza e l’altra Mori si occupa di garantire la sicurezza nella capitale.

MODELLO NETTUNO

In campagna elettorale Alemanno aveva più volte attaccato società «nate dal nulla» come Risorse per Roma. Diventato primo cittadino ha cambiato idea e parla di «un uso diverso dell’azienda». Era partito con l’idea di liquidarla, poi ha deciso di arrivare alla ricapitalizzazione e naturalmente a nuove nomine.
Risorse per Roma, a un passo dal tracollo finanziario prima della ricapitalizzazione, è una spa che si occupa della gestione degli immobili di proprietà del comune. Suo presidente è Domenico Kappler, ex senatore di An, ingegnere civile. Nel 2005 fu coinvolto nello scioglimento per mafia del comune di Nettuno, feudo elettorale di destra. Kappler, che a Nettuno era presidente del consiglio comunale, di quella zona è considerato il ras politico. Troppe le evidenze, confermate anche dalla sentenza del consiglio di stato. C’era tutto a Nettuno: società controllate come la Nettuno Servizi, cariche di debiti e gestite per spartire nomine e assunzioni, amicizie pericolose, abusivismo edilizio. Al centro spiccava la figura di Frank D’Agapiti, narcotrafficante, che gestiva la vita amministrativa dell’ente. Nelle intercettazioni dell’inchiesta della Procura di Tivoli, Frank D’Agapiti parlava di Kappler. Scrive il gip di Velletri Gilberto Muscolo: «era evidente che “Frank” D’Agapiti [boss ritenuto vicino alla famiglia dei Gallace, una delle più potenti della Calabria, ndr) raccoglieva voti per An e Kappler». Troppo per l’allora segretario del partito: Gianfranco Fini mostrò il pugno di ferro e Kappler, che si sentì tradito, espresse «delusione, amarezza per il comportamento di Fini. In Sicilia An difende a spada tratta il presidente Cuffaro, mi aspettavo lo stesso per Nettuno, per noi e per me». In seguito a quella bufera Kappler fu costretto alle dimissioni e a qualche anno di purgatorio.
Ma il tempo passa, nel paese dalla memoria corta. Kappler è tornato dalla porta principale e a metà dicembre ha accolto anche l’ex premier spagnolo José Maria Aznar che ha presentato a Roma il suo nuovo libro. L’evento è stato organizzato da Imago, un centro studi di cui Kappler è socio fondatore, inaugurato nell’ottobre scorso alla presenza del capogruppo Pdl Maurizio Gasparri. Presidente del Centro è Francesco Aracri, deputato del pdl e coordinatore regionale di An per il Lazio. Un passato in Regione Lazio, per Aracri, travolto dallo scandalo quando si scoprì che la figlia era stata assunta senza concorso nella società regionale Astrai, che dipendeva dall’assessorato ai lavori pubblici. Retto da suo padre…

PALAZZINARI IN PISTA

Ma Alemanno ha a cuore anche le sorti dei costruttori romani. A Risorse per Roma ha scelto infatti come nuovo amministratore delegato l’architetto Maurizio Bonifati. Un nome, una dinasty. Fratello di Maurizio è Enzo Bonifati, costruttore insieme alla moglie, Paola Santarelli, protagonista delle grandi operazioni immobiliari di questi anni. Ultimo il progetto nell’area dell’ex Fiera di Roma. «Della cordata fanno parte – denunciava l’architetto Francesca Barelli a Report – anche Francesco Gaetano Caltagirone, Salvatore Ligresti e Pierluigi Toti». Con la sua Cogesan la Santarelli è entrata in Sator, la società finanziaria di Matteo Arpe, ex Capitalia. Ma troviamo la signora anche nel consiglio di amministrazione del Medio Credito Centrale, il cui presidente è l’ex sindaco di Roma Franco Carraro (anche lui impegnato in mega business immobiliari nella capitale). Nel 1991 i Bonifati erano soci nella Meridiana, una merchant bank per il sud, nata dal grembo dell’lri, che doveva finanziare progetti e imprese per lo sviluppo del sud. Dopo tre armi tutti a casa, società liquidata. Presidente di quella merchant bank era l’ex ministro Antonio Marzano, che oggi guida la commissione “Attali de noaltri”, voluta proprio da Alemanno. Soci dei Bonifati in Meridiana erano big del mattone e non solo, dai Ciarrapico ai Gavio ai Matarrese. Ma oggi Maurizio Bonifati rassicura tutti: «è evidente che il ruolo da me assunto in Risorse per Roma comporterà per la mia famiglia la rinuncia a qualsiasi attività economica nella quale sarà presente la società». Intanto, mentre per la capitale si prepara la costruzione di due nuovi stadi, sull’agro romano il sindaco ha calato l’asso: un invito pubblico per reperire aree. L’obiettivo è costruire, in housing sociale, alloggi popolari. Il sogno dei piccoli costruttori, la battaglia dell’Acer da sempre. Colate di cemento su quel che resta dell’area agricola intorno alla città. «Con Walter Veltroni – taglia corto l’urbanista Alessandro Sotgia – lavoravano i grandi palazzinari, ora tocca anche ai più piccoli, ma non cambia la sostanza: rendite e mattone continuano a divorare Roma».