fotografia di un paese

fotografia di un paese

In questi giorni abbiamo volutamente evitato di commentare l’ennesimo “sexygate” che ha coinvolto il presidente del consiglio. Confessiamo di trovare poco interessante tutta questa prouderie politica di chi sbircia dal buco della serratura altrui ed è quantomeno paradossale che dopo anni di devastazione sociale di Berlusconi e complici la cosiddetta opposizione riprenda parola solo quando si tratta di Noemi, di Papi o di bunga bunga. Se rompiamo questo silenzio è solo perchè siamo stati stimolati da un sondaggio IPSOS pubblicato ieri dal quotidiano Europa che, in sintonia con altre rilevazioni demoscopiche, fotografa un’Italia relativamente indifferente a questo polverone mediatico. Perchè la fiducia nel premier non cala? Perchè le intenzioni di voto non si modificano?  Oggi diversi opinionisti si interrogano sorpresi sulle ragioni di questa mancata “indignazione morale” e in molti concordano nell’attribuirla al deficit di credibilità del centrosinitra. Nessuno però sembra voler fare i conti con le trasformazioni antropologiche che hanno squassato questo Paese nell’ultimo trentennio e di cui il berlusconismo è culturalmente al tempo stesso causa ed effetto. Per trasformare le cose bisogna prima avere chiaro come stanno, raccontarsele per come esse sono e non per come vorremmo che fossero. In questo Paese di “Italie” ne convivono almeno due, e quella dominante, quella che informa di sè il senso comune, quella che produce ideologia, è quella che meno ci piace e ci assomiglia. Potremmo spendere fiumi di parole per analizzarla, ma alla fine crediamo che bastino i commenti dei parenti più prossimi delle ragazze coinvolte, come il padre che spinge la figlia ad essere meno timida perchè altrimenti le passano tutte davanti, o il fratello che suggerisce di chiedere in cambio un posto di lavoro oppure quell’altro genitore che al cronista che gli chiede se è sua figlia ventiseienne la nuova compagna dell’ottuagenario Berlusconi risponde: magari. Una società mucillaginosa (come la descrisse De Rita qualche anno fa), un crossover di format e generi diversi, un po’ “Uomini e donne”, un po’ “Grande fratello”, un po’ “L’isola dei famosi”…  dove la distinzione non è più tra chi lavora e chi sfrutta, tra chi ha e chi non ha, tra chi sta sopra e chi sotto. Per questa Italia la faglia incolmabile adesso passa tra chi è dentro e chi è fuori, tra chi è visibile e chi resta invisibile, tra perdenti e vincenti e come in un ring ottagonale pur di passare da un campo all’altro vale tudo. C’è poi l’altra Italia, quella che magari lavora otto ore al giorno alla catena di montaggio per un salario che equivale a quattro pompini di Emilio Fede, o quella precaria che esce ed entra dal mercato del lavoro sempre più povera di diritti. L’Italia che vota no a Pomigliano e Mirafiori, quella che scende in piazza il 16 ottobre e quella che si scontra per ore con la polizia il 14 dicembre. Un paese che però ha sempre meno consapevolezza di sè, che fatica a riconoscersi in funzione del suo essere sociale e a cui manca una rappresentanza, ma a cui soprattutto manca un grande narrazione in grado di prospettare un’idea di società altra, alternativa alla merda in cui ci hanno condannati. E fino a quando questo sarà, questo paese pur se maggioritario nei numeri non potrà che ritrovarsi minoranza culturale e politica. Noi crediamo che sia questo il punto da cui ripartire.