Gramsci e il Corriere della Sera

Gramsci e il Corriere della Sera

Da qualche mese va avanti, sulle pagine di Sette, inserto settimanale del Corriere della Sera, una lunga polemica su Gramsci. La vicenda ha del surreale. Un insieme di storici più o meno conosciuti, più o meno significativi e più o meno di spessore, discetta da mesi (!) sulla collocazione politica di Gramsci. Nonostante i numerosi interventi (tutti di storici), le opzioni in campo sono due: a lunghi articoli in cui si spiegava la natura totalitaria, “stalinista” e anti-democratica del pensiero di Gramsci, hanno risposto altrettanto lunghi articoli e riflessioni su come Gramsci sia invece il padre del socialismo democratico, quasi un esponente del PD ante litteram.

Questo genere di polemica ovviamente non è nuova, va invece avanti più o meno dalla morte di Gramsci, o per meglio dire dalle pubblicazione dei suoi Quaderni. La cosa che lascia basiti, invece, non è tanto il fatto che, ovviamente, Gramsci non può essere inserito né nell’una lettura né in quella opposta, tutte e due profondamente sbagliate e tutte col senno di poi dell’uso politico della storia, quanto dell’assoluta mancanza di contestualizzazione del pensiero e dell’attività di Gramsci. Ribadiamo che a fronteggiarsi, in questi mesi, sono state tutte persone più o meno addette ai lavori. Non sprovveduti opinionisti dell’ultima ora, ma storici o commentatori, alcuni persino di rilievo.

Per qualche sprovveduto lettore (ad esempio, quelli di Sette), l’immagine di Gramsci che ne esce fuori da queste ricostruzioni è quella di un insipido intellettuale invischiato in diatribe da bassa lega che caratterizzano l’odierna politica. Se qualcuno non avesse fatto dei vaghi rimandi al periodo fascista, l’ignaro lettore penserebbe che Gramsci sia un personaggio contemporaneo, vivente, in conflitto con se stesso se entrare o meno nel Partito Democratico. Questo il livello del dibattito storico divulgativo in Italia sul maggiore quotidiano italiano.

La cosa che fa specie è il continuo riamando all’oggi, all’attualità, di un personaggio che visse e fece politica in un tempo e in un contesto profondamente diverso. E sebbene a scrivere fossero degli storici, da nessuna parte si nota il tentativo di ricostruzione storica del pensiero gramsciano. Non avrebbe neanche senso stare qui a sottolineare alcuni fatti evidenti, visto il tentativo di astrarre Gramsci dal suo conteso politico, sociale, culturale.

Buono o cattivo. Queste le uniche due possibili posizioni. Chi cerca di farlo rientrare fra i buoni (cioè nei democratici precursori del pensiero riformista), sottolinea la sua sostanziale riottosità a rientrare negli schemi della Terza Internazionale; nel suo convincimento che un’opzione rivoluzionaria non fosse praticabile nei contesti a capitalismo avanzato; nella sua presa di distanza non solo dal PCUS ma anche da certi atteggiamenti del PCI. Tutte, ovviamente, fandonie. Gramsci rimase, fino alla fine, dirigente della Terza Internazionale; lavorò costantemente per costruire l’ipotesi rivoluzionaria in Italia e rimase fino alla sua morte dirigente del PCI. Scambiare il suo pensiero critico e l’analisi della complessità e delle problematicità che andava incontrando il socialismo in Unione Sovietica per una sua presa di distanza addirittura da Lenin (!) conferma come non di revisionismo storico si tratti, ma di vero e proprio capovolgimento della storia, di re-invenzione della realtà. Affermare che Gramsci non proponesse una via rivoluzionaria, unicamente perché l’analisi della realtà lo portò a sostenere che, tatticamente, fosse preferibile una presa del potere tramite l’occupazione dei centri (le riserve e le casematte..) attraverso i quali il capitalismo disponeva il proprio controllo sulla società, è chiaramente affermare in malafede il pensiero del dirigente del PCI. Infine, occorre ribadire, oggi più che mai, che Gramsci rimase fino alla sua morte, convintamente, un dirigente del PCI. Anche in questo, non è possibile interpretare la sua critica al partito come una sua presa di distanza. Lungi dal riproporre una visione edulcorata o mitizzante di Gramsci o del PCI, vogliamo però sottolineare come il dibattito, le critiche e posizioni eterogenee erano perfettamente comprese non solo all’interno del Partito Comunista Italiano (soprattutto fino alla svolta di Salerno), ma anche nella Terza Internazionale (di cui Gramsci fu, nonostante le sue posizioni a volte divergenti da quelle Sovietiche, un dirigente).

Chi invece sembra aver compreso la pochezza di tali dibattiti, ribellandosi alla visione macchiettista che sta venendo trasmessa del pensiero e delle posizioni politiche di Gramsci, sembra essere il solo Angelo D’Orsi. Riproponiamo qui il suo commento, senza aggiungere altro, visto che, come si suol dire, ci toglie le parole di bocca. Riportiamo anche l’ultima puntata della polemica su Gramsci, così da poter inquadrare lo sbigottimento dello storico nel quadro che abbiamo tentato sinteticamente di riportare.

http://www.scribd.com/doc/96502245/Sette-Del-Corriere-Della-Sera-9-6-12-Gramsci

http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=search&currentArticle=1FYQPB