Elisabetta Teghil: Imperialismo e antiamericanismo

Riceviamo e volentieri pubblichiamo un nuovo contributo di Elisabetta Teghil.

 

di Elisabetta Teghil

 

“Se si volesse dare la definizione più concisa possibile dell’imperialismo si dovrebbe dire che l’imperialismo è lo stadio monopolistico del capitalismo. Tale definizione conterrebbe l’essenziale”

Lenin, L’imperialismo come fase suprema del capitalismo

 

Per Lenin, l’imperialismo non è altro che la fase monopolistica del capitalismo. Non è la dimensione dell’impresa e la sua collocazione, ma le sue capacità di essere monopolio che fa l’imperialismo.

L’attuale stagione è caratterizzata dalla supremazia degli Stati Uniti che si propongono e, per molti versi, ci sono riusciti, di assumere il ruolo di Stato del capitale assoggettando con ogni mezzo a disposizione tutte le potenze rivali.

Dice Istvan Meszaros in Socialismo o barbarie, «Così data l’inesorabilità della logica del capitale, era solo questione di tempo prima che il dinamismo del sistema si dispiegasse fino a raggiungere anche a livello dei rapporti interstatali lo stadio in cui una super potenza egemone arrivasse a dominare su tutte quelle meno potenti, per quanto grandi, ed affermare la sua pretesa esclusiva di essere lo Stato del sistema del capitale in quanto tale, pretesa infine insostenibile e la più pericolosa per l’umanità nel suo insieme».

È falso che, in questo momento, la politica e lo Stato si sarebbero ritirati. Il sistema del capitale, in questa stagione che si manifesta con il neoliberismo, non potrebbe sopravvivere una settimana senza l’appoggio massiccio che riceve dallo Stato.

Gli Stati Uniti hanno 300 basi militari fuori dai confini nazionali e più di 200 Agenzie e possono contare su una miriade di Ong, Onlus e società di Think Tank.

Hanno piegato le Organizzazioni internazionali ai loro interessi e trasformato la Nato in polizia internazionale.

Evocano strumentalmente la forza dei Brics per far dimenticare la loro supremazia in tutti i campi e attraverso la sottomissione di tutti gli altri Stati l’imposizione del loro modello al resto del mondo.

Chi fa resistenza è accerchiato ideologicamente, economicamente e militarmente, e, se si sottrae, è soggetto ad attacchi militari in atto o in potenza.

Assimilare il ruolo degli USA ad altri paesi dietro il paravento che sono tutti imperialisti fa dimenticare la lezione marxista della differenza tra la contraddizione principale e la contraddizione secondaria.

L’America riplasma il mondo a sua immagine. Ma tutto ciò passa attraverso la colonizzazione economica, politica, semiotica ed ideologica.

La lettura che tutto è imperialismo che, in prima battuta, può sembrare radicale, è l’altra faccia del gradualismo. Attraverso questi meta-concetti non si può che avallare l’imperialismo americano, perché questo è quello vincente e dominante con cui dobbiamo fare i conti. La lettura che tutto è imperialismo dimentica che il disimpegno dello stato sociale, il rafforzamento delle componenti poliziesche e penali, la riduzione delle tutele del mercato del lavoro e delle tutele sociali, fino ad approdare alle guerre “umanitarie” non sono altro che la declinazione nazionale dei valori statunitensi che impongono al resto del mondo categorie analoghe alle loro strutture sociali rafforzandone così le pretese universalistiche.

Il gradualismo, poi, non è altro che un bilancio tutto sommato positivo del capitalismo. Si tratta di costruire attraverso successivi passaggi e piccoli passi un capitalismo dal volto umano.

La storia dell’imperialismo ha tre fasi distinte:

– l’imperialismo costruttore di imperi coloniali;

– l’imperialismo analizzato da Lenin che vedeva le maggiori potenze a sostegno delle loro multinazionali;

– l’imperialismo globale degli Stati Uniti, quale unica superpotenza che si pone l’imperativo di fondare una struttura di comando politico universale del capitale guidato e soprattutto sotto il paese globalmente dominante.

Le manifestazioni dell’imperialismo USA sono troppo numerose ed evidenti perché ci sia bisogno di ricordarle ed elencarle.

Ma, per ritornare a Lenin, dobbiamo vedere con che gambe queste camminano qui da noi in Italia: le innumerevoli basi il cui mantenimento è pagato dai cittadini/e e che vivono in un regime di extraterritorialità, la proprietà privata dei Servizi, l’imposizione dei rappresentanti ai vertici istituzionali e governativi sono le manifestazioni di più facile lettura.

Se diluiamo il ruolo degli Stati Uniti dicendo che l’imperialismo è patrimonio anche delle altre potenze, come del resto è vero, dimentichiamo soprattutto il fatto, questo sì centrale, che noi, in Italia, dobbiamo fare i conti con l’imperialismo americano.

Altrimenti non avremmo motivi particolari per mobilitarci contro il raddoppio della Base Dal Molin e contro il Muos. Come del resto fanno quei gruppetti che prendendo a pretesto l’essere comunisti non fanno pratica antifascista, perché sarebbe incorporata nell’essere comunisti.

In definitiva un verbalismo radicale poco o niente costruttivo.

Dimenticando a piè pari i rapporti di forza e che gli Stati Uniti occupano con le loro basi militari il territorio di non meno di 70 paesi, un numero che continua a crescere con l’allargamento della Nato.

Fraintendere e distorcere la comprensione del presente significa proiettare nel futuro anche il passato rimuovendo le specifiche determinazioni storiche del presente e i suoi limiti spazio-temporali.

Sarebbe come accettare la falsa e riduttiva lettura che le lotte di liberazione dei popoli del terzo mondo non erano altro che manifestazioni della guerra fredda e negare, oggi, la valenza politica delle loro lotte di resistenza.

E si risolve in una legittimazione della struttura imperialista della politica che, oggi, poggia soprattutto sull’attualità storica dell’offensiva statunitense. Pertanto è impossibile costruire una alternativa strategica credibile al modo imperialista se non si mette in discussione l’egemonia statunitense.

Questo non solo a livello di geopolitica, ma anche nei microcosmi costitutivi a livello nazionale. Non facendo questa operazione si cade negli errori e ritardi di valutazione su quello che è successo in Jugoslavia, in Iraq, in Libia e adesso in Siria.

Questo contrapporre l’imperialismo dei Brics a quello statunitense appartiene al regno della fantasia se non alla cinica mascheratura della realtà delle cose. Questa operazione viene portata avanti dagli USA che non a caso si presentano come vittime del terrorismo, dello spionaggio, della cyber-guerra e non ha bisogno di volontari come non ne avevano bisogno le truppe qatariote e inglesi nell’occupazione militare della Libia.

Gli Stati Uniti sono la struttura politico-militare di comando del capitale e tutto quello che è asimmetrico è relegato nel ruolo di avversario da sconfiggere ed eliminare.

Chiunque, a qualunque titolo, teorizzi, progetti o semplicemente auspichi una situazione qualitativamente diversa deve fare i conti con la pretesa di dominio del mondo da parte del più potente Stato del capitale che ha imposto la sua politica aggressiva, le guerre “umanitarie”, al resto del mondo tutto, alleati-complici o avversari-terroristi.

Questa fase dell’imperialismo dove gli Stati Uniti sono la forza assolutamente dominante richiede la capacità di lettura e di mobilitazione contro gli aspetti mortali caratteristici di questo momento.

È importante non dimenticare che l’imperialismo americano si fonda sull’arroganza di categorie di superiorità (il paese più civilizzato, più progredito…) e sul conseguente disprezzo nei confronti degli altri popoli considerati come inferiori e pertanto gli americani leggono il loro imperialismo come una missione superiore e sacra tesa a proteggere la civiltà e ad instaurare la democrazia.

In definitiva una lotta del bene contro il male.

Tutto questo è profondamente razzista e veicola l’essenza del razzismo: la superiorità di un popolo nei confronti di un altro. Ed è questo un tratto ulteriore che caratterizza l’imperialismo statunitense.

Bisogna sempre fare i conti con il fatto che l’imperialismo condiziona i cambiamenti dell’evoluzione storica.

L’imperialismo egemonico globale degli USA è un tentativo di imporsi come Stato internazionale del sistema del capitale e, in quanto tale, su tutti gli altri Stati nazionali, più o meno recalcitranti.

Non è possibile rovesciare questo stato di cose evocando l’imperialismo di tutto e di tutti, così come richiedendo, secondo il “politicamente corretto”, delle modificazioni di questo o quell’altro aspetto dell’imperialismo.

Nell’un caso e nell’altro non si fanno i conti con l’autovalorizzazione della globalizzazione capitalistica e con il suo stadio attuale.

L’antimperialismo non è un postulato ideologico astratto, ma è materialmente fondato sul dispiegarsi delle condizioni e contraddizioni della presente congiuntura storica.