L’esempio militante (2): il corteo di Bagnoli

 

 

 

Matteo Renzi sembra averci preso gusto: prima lancia appuntamenti ufficiali, meeting e visite (nazionali ed europee), pavoneggiandosi tra le paillette e le copertine dei settimanali, poi improvvisamente fa marcia indietro al primo sentore di contestazione, bucando l’evento e scongiurando il rischio di essere bacchettato dalle piazze. Era successo in occasione del tanto conclamato vertice europeo sulla disoccupazione giovanile, che a luglio avrebbe dovuto ospitare proprio l’Italia come primo passaggio formale dell’inizio del semestre UE a guida tricolore. Si è ripetuto anche venerdì scorso, a Bagnoli, quando la visita del premier – atteso in città per promuovere lo SbloccaItalia varato il giorno prima al Senato – non si è di fatto concretizzata.Le realtà sociali e politiche campane (e non solo), nonostante l’ennesimo forfait, hanno mantenuto la piazza di contestazione: a Bagnoli lo SbloccaItalia, tra mille parole e acrobazie burocratiche, rappresenta un tentativo pionieristico di cambiare radicalmente la gestione dei suoli e del piano urbanistico attraverso un commissariamento eccezionale che derogherà alle norme generali e ai vincoli previsti nel piano regolatore in materia di tutela ambientale. Bagnoli, dunque, è il progetto pilota di quest’operazione. E Bagnoli, nella giornata di contestazione al premier Renzi, è divenuto esempio pilota di una risposta popolare coesa, capace di invertire nell’arco di una giornata i rapporti di forza che negli ultimi tempi avevano caratterizzato le manifestazioni di piazza antagoniste.

Non si tratta, ovviamente, della glorificazione di una giornata di scontri, per quanto – ricordi in loco e video alla mano – non si può certo non riconoscere l’effettiva portata di quella tenuta di piazza. Si tratta semmai di ribadire l’efficacia di un passaggio politico costruito a partire dalla vertenza territoriale, connesso alle dinamiche nazionali e alle imposizioni dell’UE (che tanta responsabilità porta nella fretta con cui si sta dando vita allo SbloccaItalia), che ha il pregio di alzare il livello di scontro a partire da un forte consenso popolare, quello cioè che ha dato vita ad una composizione di piazza diversificata ma decisamente determinata. La riproduzione, con i dovuti distinguo, di quanto di bello abbiamo sottolineato e continuiamo a fare guardando alla val Susa, cioè l’unione indissolubile con il territorio e il protagonismo in primis delle forze popolari locali che legittimano un’azione di forza.

Lo schieramento spropositato di forze dell’ordine, in una giornata che ha visto sfilare 5mila persone (e sarebbero sicuramente state molte di più se Renzi non avesse nascosto la testa sotto la sabbia), ha chiarito da subito i termini della questione: il dissenso o si imbavaglia con le buone, oppure si reprime con le cattive. Memori delle cariche ai lavoratori delle acciaierie ternane a Roma, forse, i dirigenti di piazza avranno pensato che – con le spalle al muro e in un momento di forte crisi e frammentazione – il movimento di classe antagonista avrebbe mantenuto un profilo basso, un attestato di mera partecipazione. La risposta è stata invece di tutt’altro tenore, con un’assunzione di responsabilità collettiva che – ci auguriamo di no – non sarà certo dimenticata dai vigili occhi della controparte.

Va tuttavia sottolineato un ultimo passaggio che ci ha consegnato la giornata del 7 novembre, quello relativo all’atteggiamento della controparte nelle piazze. Da tempo andiamo parlando dell’inversione di tendenza del momento storico, del cambio di paradigma repressivo, della crescente tutela manu militari che non interessa solo studenti e movimenti genericamente definiti dei “centri sociali”. I fatti di Roma, le cariche ai lavoratori ternani, così come le cariche indiscriminate alla popolazione carrarese colpita dall’alluvione di qualche giorno fa, ci dicono che le manganellate ormai vengono servite come il caffè, alla fine di ogni momento di piazza, più o meno contestatorio. E non solo come risposta alla contestazione, ma anche come meccanismo di costruzione del consenso fondato sulla paura. La tattica del governo Renzi, diviso nella maggioranza e nel suo partito di punta, è quella di blindare un consenso nazionale che sembra inversamente proporzionale alla fiducia e alla carta bianca che, tra una bacchettata e un richiamo, Bruxelles sembra comunque accordargli senza battere ciglio. La litania del leader giovane e della sua popolarità, insomma, sembra iniziare a fare acqua, o quanto meno ad ammaccarsi in alcune delle sue principali carene. E quest’autunno, nonostante sia al momento più tiepido di altri che abbiamo vissuto, ci sta insegnando che la condotta di piazza che abbiamo finora conosciuto, quella che cerca il consenso di massa attraverso la sola giustezza delle idee, non guadagnerà la fiducia di una popolazione esausta e spazientita, che nei segnali di lotta e resistenza alla barbarie della controparte comincia a capire che l’ora di mobilitarsi è giunta.