Il Venezuela, la sconfitta e noi

In Venezuela abbiamo perso, come è ormai noto. Il chavismo è stato nettamente sconfitto dalla destra nelle elezioni parlamentari e l’agibilità del presidente Maduro risulta adesso molto ridotta. La derrota era nell’aria, ma non per questo fa meno male. Gli auspici ricavati dalle recenti elezioni argentine sono stati, quindi, confermati. Il Venezuela è un paese centrale per il socialismo del XXI secolo, adesso la “normalizzazione” può iniziare. Negli anni di Obama gli Stati Uniti sono retrocessi in diverse parti del mondo, ma non hanno mai mollato la presa sul Latino America, soprattutto attraverso il gruppo di potere che “manovra” Hillary Clinton. L’obiettivo di far tornare il sub-continente latinoamericano alla stregua di “cortile di casa” aveva una duplice motivazione: eliminare la “vergogna” di un blocco socialista proprio sotto gli occhi e riprendere il controllo diretto sulle ricchezze naturali dell’area, proprio quando sovrappopolamento mondiale e “questione ambientale” rendevano le derrate alimentari, l’acqua e i terreni per la coltivazione dei biocombustibili progressivamente importanti almeno quanto il petrolio e il gas. Gongolano gli Omero Ciai dai balconi di «Repubblica» e si danno di gomito, soddisfatti, anche non pochi esponenti di sinistra. Sgombriamo, però, il campo dagli equivoci: Nicolás Maduro non ha perso perché la sinistra italiana è stata poco solidale e molto confusa. Contiamo così poco, oggi, a livello mondiale che anche un impegno massiccio del fronte progressista avrebbe spostato di un niente l’esito venezuelano. Senza dimenticare, inoltre, che un impegno infaticabile ed egregio c’è stato ed è stato compiuto da reti solidali come “Caracas ChiAma”. Se citiamo le nefandezze della sinistra (?) anti-chavista italiana è solo per ricordare un elemento che ha agito, come spesso capita, sullo sfondo del palcoscenico, non certo da protagonista. È un dato di fatto, comunque, che chi oggi critica Maduro di essere stato poco carismatico è spesso il medesimo “esperto” che accusava ieri il Comandante Chávez di esserlo troppo, fino quasi a sconfinare nel populismo.
Come sempre, alle nostre latitudini pecchiamo di “italo-centrismo”, analizzando contesti lontani come se questi si trovassero sulla Penisola o avessero vissuto lo stesso percorso politico dell’Europa nell’età moderna e contemporanea. La destra che ha vinto le elezioni e che si appresta a comandare il parlamento del Venezuela non rientra nel meccanismo delle alternanze, tipico degli Stati europei, per i quali una sconfitta del centro-sinistra non rappresenta un dramma perché tanto i “progressisti” potrebbe presto tornare a governare e comunque perché i due poli hanno ben poche differenze tra loro: no, in Latino America la storia è diversa. Lì la destra al potere significa l’attribuzione di pieni poteri a forze politiche eversive e assassine, in quanto tali già attive, almeno in parte, dopo la morte di Chávez e oggettivamente favorite dalla scelta del governo bolivariano di rispondere agli attacchi della guarimba mediante le “armi” della democrazia. Armi spuntate, come sempre in questi casi. Il Venezuela tornerà a essere una semi-colonia delle multinazionali Usa, con una forte riduzione della sovranità popolare e una nuova esclusione di centinaia di migliaia di proletari a cui il chavismo aveva restituito lavoro, quindi dignità. Questo giudizio è oggettivo.
Forte di importanti conquiste e di ripetute legittimazioni elettorali, il Venezuela con le otto stelle bolivariane sulla bandiera ha scelto da subito di governare mediante i meccanismi della democrazia rappresentativa, intervenendo, però, sulla proprietà privata e sui mezzi di produzione mediante una grandiosa opera di nazionalizzazioni. Si dice (si è detto, si dirà ancora): “però il governo bolivariano non è riuscito a superare la dipendenza dagli idrocarburi”. Eppure non sembra che Arabia Saudita e Qatar, attuali giganti della politica internazionale, capaci adesso di “dare la paga” pure agli Usa, abbiano guadagnato posizioni su posizioni producendo cacciaviti oppure edificando Dubai. No, la realtà è un’altra, molto più semplice: in Venezuela il Psuv ha perso per la guerra economico-commerciale messa in atto a colpi di contrabbando e di aggiotaggio. Iniziata negli Stati periferici, confinanti con la Colombia del narcotraffico, si è estesa in buona parte del paese, a colpi di svalutazione della moneta e di carenza di beni essenziali. È solo in questo modo (oltre che con un vero e proprio golpe militare, come già tentato in passato, ma inutilmente) che un paese socialista – che ha come obiettivo, di conseguenza, la redistribuzione della ricchezza – può perdere parte del consenso popolare. Maduro ha accettato la sconfitta e ha detto che sarà una “sberla salutare”, ma ne dubitiamo. Dietro il volto apparentemente rassicurante di Leopoldo López, lo “studente universitario” di 44 anni che, in quanto tale, sarebbe preso per il culo in qualsiasi altro paese del mondo, ma che viene descritto come “giovane ribelle per la libertà” dai media dell’imperialismo, già si muovono i golpisti di professione. Noi cosa possiamo fare, da qui? Poco o molto, dipende: è poco o molto convincere tutti i compagni che “attraversano” i nostri spazi che, nonostante tutti gli errori e le delusioni, il peggiore dei chavisti è di gran lunga migliore del più “buono” degli antichavisti? È poco o molto offrire, dentro la rete “Caracas ChiAma”, tutto l’appoggio possibile a quella che non è più (solo) la Rivoluzione bolivariana, ma che adesso è anche la Resistenza della Rivoluzione bolivariana, soprattutto da quando si insedierà il nuovo parlamento? È poco o tanto ricordare, agli ingenui e ai distratti, che persino Allende dovette subire in Europa le critiche che hanno accompagnato Chávez e Maduro, salvo diventare – dopo l’11 settembre 1973 – una sorta di santino che oggi si spende tutta la sinistra e persino il PD? Noi continueremo a fare la nostra parte. Infine, adesso più che mai abbiamo l’obbligo di ricordare i 43 morti (e ottocento feriti) che hanno insanguinato l’ultimo anno della politica venezuelana, moltissimi dei quali uccisi per mano delle canaglie filo-imperialiste. La risposta del governo Maduro si è insabbiata nella democrazia rappresentativa. Quantomeno non li dimentichiamo.