Ciao Salvini, ci rivediamo al prossimo flop

Ciao Salvini, ci rivediamo al prossimo flop

 

Troppo facile oggi intestarci tutti quanti i meriti della più grande manifestazione cittadina da molti anni a questa parte. Un successo al di là delle più rosee aspettative. Non staremo a scannarci sui numeri: c’è chi parla di ventimila, chi di trenta o quarantamila, in ogni caso una marea umana che a Roma, per un evento esclusivamente cittadino, non si vedeva dagli anni Novanta. Oggi stiamo tutti comodi sul carro dei vincitori, rilassati, affaticati e sorridenti. Costruire questo carro non è stato però per niente semplice, in un contesto votato unicamente allo smarcamento preventivo, alle logiche da (retro)bottega, alle piccole invidie di chi non rappresenta altro che se stesso, vittima di un avanguardismo effettiva tara mentale del movimentismo degli anni Dieci. Non era ieri il banco di prova del movimento antagonista. Lo è stato per tutto questo lungo mese di iniziative, di conflittualità diffusa, di attacchinaggi, di assemblee nei quartieri popolari, di azioni, di presidi. Un mese speso per una sfida contro un nemico più grande e garantito di noi, contro l’unica forza politica legittimata a rappresentare “l’opposizione” funzionale al sistema renziano nel paese. Lontani da logiche evenemenziali, siamo riusciti, con il contributo di alcuni e contro gli interessi di altri, a mettere in campo un movimento reale che praticasse un’iniziativa politica egemone, larga e conflittuale al tempo stesso. La città ieri, come per tutto il mese di febbraio, è stata nostra, perché di noi si è parlato per tutto questo tempo, perché articolando tutti i piani di intervento abbiamo fatto capire alla Lega di non essere la benvenuta a Roma, anzi di essere apertamente rifiutata. Il risultato è stata la totale diserzione dei cittadini romani per una piazza tirata su con i pullman pagati dalla fiscalità generale, con la ridicola quanto ininfluente presenza del centinaio scarso di neofascisti di CasaPound, anch’essi per di più giunti dal resto d’Italia. Roma ha rifiutato Salvini, impedendo al suo progetto politico di tracimare dai confini settentrionali in cui continuerà ad essere relegato, almeno per oggi. Roma, ieri, ha dato la migliore risposta collettiva e politica al tentativo reazionario della Lega Nord. Per converso, un flop, quello della Lega, difficilmente digeribile per Salvini, in cerca di legittimazione centro-meridionale fallendo clamorosamente l’obiettivo. In Piazza del Popolo, come anticipato, non c’era neanche un romano. Salvini da settimane era percepito come problema cittadino, causa di disordini più che di risposte politiche. Il legame con i fascisti del terzo millennio, in realtà le solite merde del millennio precedente, ha fatto il resto. Per quanto continuamente sdoganate, le opzioni neofasciste continuano a costituire un problema politico per la cittadinanza democratica, o almeno per quel che ne resta. Ma andiamo con ordine.

Dai primi giorni di gennaio, una volta saputa la notizia della prevista manifestazione leghista a Roma per fine febbraio, ci siamo mossi per organizzare un fronte unitario che sul tema specifico mettesse da parte le reciproche differenze politiche. Differenze, sia detto però chiaramente, perfettamente legittime, anzi sacrosante, e che oltretutto condividiamo. Alla base di queste differenze ci sono modi di intendere la politica assolutamente eterogenei, contrastanti, alternativi. Nessun intento ecumenico allora, quanto il tentativo di ricreare lo spirito del 18 e 19 ottobre del 2013, quando una costruzione convergente di quelle manifestazioni aveva portato a moltiplicare le energie e la forza dei movimenti antagonisti evitando di annullarle in una sommatoria di sigle. Un esperimento, quello di due anni fa, purtroppo morto sul nascere, vittima delle beghe di un movimento alle prese con una lotta per l’egemonia interna più che del rafforzamento reale di un’opposizione di classe. Due anni dopo, il progetto politico di Salvini ci sembrava il terreno più adatto per ritrovare quella sintesi virtuosa che moltiplicasse la ragioni di ciascuno, dalle più “conflittuali” alle più “riformiste” (e un giorno dovremmo anche chiarirci su questi due termini utilizzati per lo più a sproposito). Salvini e la Lega Nord costituivano il nemico attorno a cui ricercare un’unità d’intenti: perché le periferie romane sono potenzialmente una bomba ad orologeria pronta ad essere organizzata dalle forze reazionarie; perché le avvisaglie dello scorso autunno, con la rivolta di Tor Sapienza, dovevano far suonare più di un campanello d’allarme per la nostra internità nei “territori subalterni”; perché lo sdoganamento definitivo di Casapound avrebbe potuto rappresentare una pietra tombale sulla nostra agibilità politica; perché la nascita di un Front National all’italiana avrebbe relegato le ragioni della sinistra a curiosità storica; infine, perché non poteva essere lasciata a Salvini l’opposizione al PD e all’Unione Europea, temi troppo decisivi per essere regalati alla reazione e alla paccottiglia populista. Per queste e molte altre ragioni, in vista della manifestazione di Salvini bisognava prendere atto di un dato incontrovertibile: nessuno, almeno a Roma, è autosufficiente, ha la forza politica per “agire da sé”. Nessuna forza politica o sociale ha la caratura politica e la potenzialità sociale per rappresentare da sola un movimento reale, essere forza egemonica capace di aggregare le ragioni di una composizione sociale più vasta del mero corpo militante. Anche la lotta sociale storicamente più rilevante della città di Roma, la lotta per la casa, nel tempo ha dimostrato la sua assoluta incapacità di aggregare altro che non la dimensione “occupante”, le famiglie dei palazzi occupati insomma. Una lotta decisiva e centrale, alla quale peraltro partecipiamo da occupanti, ma che non può percepirsi come “unica opposizione”, soprattutto se incapace di darsi una progettualità politica diversa dalla pratica del sindacalismo metropolitano. In vista di Salvini, allora, bisognava produrre uno scarto in avanti, mettere da parte le beghe da basso impero, le piccole invidie di movimento, le polemichette da quattro soldi moltiplicate dai social network; Salvini necessitava di una risposta unitaria, che non fosse la mediazione al ribasso tra le ragioni delle strutture che la componevano, quanto il moltiplicatore delle varie tendenze.

Sin da subito, ci siamo spesi per un unico obiettivo: impedire a Salvini di manifestare a Roma. Impedirlo con una pratica conflittuale che non caricasse unicamente sull’evento “28 febbraio” e che non puntasse solamente alla conta democratica dei numeri. Non era la sfilata che ci interessava, neanche se fosse numericamente riuscita (come nei fatti è avvenuto ieri). Ci interessava un percorso conflittuale, un processo politico virtuoso, determinato e non pacificato. Esattamente quello che è avvenuto in questo mese, dove si sono alternati sanzionamenti a iniziative e sedi della Lega Nord, assemblee universitarie, attacchinaggi di massa, azioni di blocco della metropoli, manifestazioni non autorizzate, coinvolgimento dell’intellettualità ancora legata ai valori dell’antirazzismo e dell’antifascismo, lavoro sporco nei quartieri e nelle borgate periferiche dove da anni nessuno metteva piede. Organizzare tutto questo non è stato facile, e per lunghi giorni la sensazione di essere i soli a credere in questo processo è stata desolante. A dire il vero, nonostante le molte differenze sostanziali che ci caratterizzano, a volte collocandoci agli antipodi di determinati percorsi politici, non possiamo non citare in questo contributo il Cinodromo, tra le poche strutture che insieme a noi si è sin da subito spesa per la riuscita di questo percorso, che sin dall’inizio ha lavorato per l’unità di un processo politico e non per la sua deflagrazione. Non è facile, e forse neanche opportuno, essere così espliciti in una riflessione politica, ma in questo caso ci sentiamo di fare un’eccezione vista l’importanza della posta in palio e, in fin dei conti, la vittoria raggiunta ieri, la vittoria di chi ci ha creduto dall’inizio.

Nonostante questo, non possiamo dimenticare i continui smarcamenti immotivati dal percorso comune di talune situazioni, che non possono – o dovrebbero – passare in cavalleria come se niente fosse. Un percorso dal quale era oggettivamente impossibile smarcarsi ha tenuto legate situazioni che non aspettavano altro che il passo falso per sottrarsi. Un’alchimia che ha prodotto un’unità forzata più che ricercata, ma che alla fine ha costretto tutti all’impossibilità di defilarsi. E questo nonostante per settimane c’era la più che concreta volontà di radicalizzare questo percorso, renderlo effettivamente ingestibile per la repressione e per la politica cittadina e nazionale. Oltretutto, un percorso radicale che avrebbe messo in difficoltà proprio chi si augurava nient’altro che il solito corteo pacifico, la trita sfilata democratica e liberale. Alla prova dei fatti, la tanto sbandierata conflittualità non poggiava su alcuna proposta concreta, se non la ricerca di visibilità mediatica, a volte anche opportuna – sia detto per inciso – ma che da sola non avrebbe fatto altro che relegare la protesta anti-Lega a questione tra bande: Casapound da un lato, gli “antagonisti” dall’altro, con al centro Salvini e Renzi gongolanti di rappresentare le forze della ragionevolezza. Bisognava smontare il gioco mediatico precostituito, e l’unico strumento che avevamo era unire le varie ragioni dei movimenti attorno ad una cornice comune, impedendo a chiunque di dissociarsi dalle pratiche conflittuali (come ad esempio il blocco del Muro Torto del giorno prima, iniziativa che si inseriva perfettamente nel percorso conflittuale di opposizione a Salvini quanto al PD) ma al contempo facendo “stare bene” tutti coloro che volevano opporsi a Salvini e al progetto reazionario della Lega Nord. Superare l’avanguardismo fine a se stesso per divenire avanguardia politica, forze reale che avesse le potenzialità di articolare un discorso egemonico.

Tale movimento convergente correva il rischio di identificarsi oggettivamente con gli interessi del PD di presentarsi come unica forza politica credibile e “democratica”. Peggio ancora, di dare legittimazione a chi aveva in mente di costruire le basi di una Syriza italiana. Lottare contro Salvini non poteva avvenire allora avallando l’egemonia renziana o la pacificazione vendoliana. Bisognava esplicitare l’alterità di questo movimento reale dalle secche di un democraticismo dirittoumanista felice di manifestare contro la Lega come lo era contro il berlusconismo, ma incapace di articolare un discorso politico che andasse al di là del fronte comune contro il nemico contingente. La scommessa era allora opporsi a Renzi tanto quanto Salvini, e andare a spiegare questa oggettiva e soggettiva specularità politica nelle periferie a rischio, quelle in cui potenzialmente il messaggio leghista potrebbe attecchire più facilmente. Una scommessa nei fatti vinta. La piazza di ieri è stata contro Salvini e Casapound tanto quanto contro il PD, contro Renzi e ogni ipotesi di gestione socialdemocratica della crisi. Certo, in piazza c’era di tutto, da Rifondazione a Sel, dai Cobas ai tanti esponenti della futuribile Syriza italiana, ma il dato di fatto è che questi sono scesi in una piazza apertamente contraria non solo alle politiche del PD (e grazie al cazzo), ma nemica imprescindibilmente delle politiche riformiste illuminate, keynesiane, socialdemocratiche che dir si voglia. Insomma, se la scommessa era opporsi a Salvini senza passare per utili idioti del renzismo, possiamo dire di essere riusciti nell’impresa, e non tanto ieri quanto nel percorso concreto e conflittuale di questo mese, che ha esplicitato la nostra irriducibile diversità rispetto alla compatibilità liberale. Diversità pagata a caro prezzo con le cariche indiscriminate del 27 e l’arresto di quattro militanti della lotta per la casa.

Questo mese di mobilitazione permanente ci ha restituito la consapevolezza di potere incidere sulle vicende politiche di questo paese, saper aggregare consensi senza perdere un grammo della nostra capacità conflittuale. Una consapevolezza basata però sulla convinzione che nessuno, al momento, è politicamente autosufficiente, e questo prima lo capiamo meglio sarà per tutti. Se l’input di questa piazza verrà raccolto in questo senso, sarà il seme da cui germoglierà una potenzialità rivoluzionaria, che potrà concretizzarsi già in primavera con la venuta dell’infame Le Pen a Roma portata proprio da Salvini. Se invece prevarrà la logica dei piccoli gruppi e dello smarcamento autoreferenziale, questa giornata altro non sarà che l’ennesima occasione persa.